La sua era una vita di silenzi.
Scriveva poesie ma le leggeva soltanto al suo coniglio. La sua casa era fatta
di una stanza sola, in mezzo ad un prato. Conosceva poche cose ma parlava ai
fiori. Ogni mattina ringraziava la luce che gli permetteva di vedere il mondo.
A volte ricordava di quando era bimbo e di quanto forte era quella cosa che gli
entrava dentro quando guardava gli ultimi raggi illuminare una collina.
Ricordava anche di quando accarezzava una bestiola e di come credeva che
l'amore che passava dalla sua mano potesse arrivare a tutti gli animali del
mondo. A volte poche note lo facevano piangere e di questo si vergognava, non
sapendo che un giorno avrebbe capito. Da adulto era ancora così: semplice come
un sorriso, fresco come un ruscello, leggero
come il mondo, che da sempre galleggia nel niente. Lui era proprio
questo: era tutto in mezzo al niente ma ancora non lo sapeva nessuno, nemmeno
lui. Si domandava come facessero tutti gli altri a non vedere le cose che vedeva lui e perché
sprecavano il loro tempo a sopravvivere quando si poteva vivere. Per lui la
vita era il caldo in inverno e il fresco d'estate, la pace nel silenzio e la
voglia di correre. Per lui sogno e realtà erano la stessa cosa.
Una notte però, fece un sogno
strano, al mattino qualcosa era cambiato. Rimase seduto tutto il giorno su di
un sasso a pensare. Fino ad allora non aveva sentito il bisogno di niente, la
sua vita gli sembrò essere stata completa e così era davvero, ma da quel
giorno, dopo il sogno, non fu più così. Ma ancora non capiva bene. Nel sogno
aveva sentito la sensazione di una cosa che
semplicemente doveva arrivare,
percepì un naturale cambiamento del quale ancora non ne conosceva le sorti. E
questo era proprio il motivo che lo faceva pensare. Era tutto così naturale ma
non sapeva cosa. Nel sogno vide milioni di mani che scrivevano una parola, non
era molto lunga, ma doveva essere molto importante. Le lettere le conosceva
tutte ma il significato che prendevano, una al fianco dell'altra, non lo
conosceva. Ma già da subito aveva
sentito in quelle lettere una forza immensa. E come succede nei sogni, non
seppe come, chi o cosa ma qualcuno lo
ringraziò e quella parola ne era la ricompensa. Al mattino non capiva, perché
da capire non c'era niente ma sentiva che tutto era meravigliosamente giusto e
che non poteva essere altro che così. Alla fine di quel giorno non sapeva
ancora minimamente cosa fare, ma gli
venne in mente di prendere un foglio e di scrivere quella parola. La ricordava
bene perché ancora non sapeva che non
solo non si poteva dimenticare, ma che ognuno la conosce da sempre e se nessuno
la ricorda é perché tutti dimenticano di saperla. Ma questo ancora lui lo
ignorava. La lesse una volta, nella sua mente, e successe qualcosa di
potentissimo: una gioia immensa lo attraversò sconvolgendo tutte le sue fibre,
cadde a terra e per poco non perse i sensi. Quando si riprese si stupì di non
essersi spaventato ma del resto non avrebbe potuto perché nulla di pericoloso
gli successe. Tuttavia non trovò spiegazione. Un istinto gli suggerì di
leggerla ad alta voce e quello che accadde fu talmente straordinario che non
sarebbe mai riuscito a spiegarlo a nessuno. Una volta che la parola fu
pronunciata, tutto quello che vide, intorno a lui, gli sembrò bellissimo, talmente
tanto che si mise a piangere. E non era altro che la sua casa, la sua umile e
povera casa che già lui amava moltissimo. Come un cucciolo che si scotta il
naso sulla stufa accesa, capì che la parola non doveva essere letta nella
mente, ma ad alta voce, ma il vero significato di questo ancora gli era
distante, capì solo che se la leggeva ad alta voce la gioia immensa era la
stessa ma così facendo si riversava su tutto quello che gli stava intorno non
implodendogli dentro. Ne rimase
stupefatto ma al tempo stesso gli sembrava ancora una volta che tutto era
talmente normale e naturale come il mondo. Uscì fuori e la urlò alla sua terra
e il tramonto in lontananza, da dietro le colline, lo avvolse con i suoi
meravigliosi colori. Gli animali gli vennero incontro e ognuno con il proprio
modo, gli mostrò gratitudine. Fu per lui un'emozione fortissima e si innamorò
ancora di più di tutto ciò che esiste. Intuì ciò che avrebbe dovuto fare e
senza esitare, decise di partire per la città vicina. Il giorno dopo sarebbe
andato nel mondo e avrebbe urlato la parola a chiunque avesse incontrato perché
una simile gioia doveva essere condivisa, questo era quello che cominciava a
capire.
Il nuovo giorno splendeva in un
sole magnifico. Salutò la sua casa e i suoi animali e partì. Quando arrivò
cercò una piazza piena di gente e iniziò ad avvicinare le persone e a
sussurrare la parola vicino ai loro volti. La delusione fu terribile. Le
persone lo guardavano come fosse pazzo e lo scansavano. Inizialmente non capiva
il motivo di questo, la sua gioia nel pronunciarla era la stessa di quando si
trovava nella sua casa, nella sua terra ma nelle persone trovava un muro arido
che la rimbalzava indietro, trasformandosi in tristezza. Non capiva. Soffriva
di questo perché aveva creduto che anche le persone potessero essere sensibili
come lui e gli animali. Ma non si
scoraggiò, iniziò ad urlarla. Si mise a correre ed a urlare la parola in modo
che tutti potessero sentirla ma non successe niente. L'effetto era che qualcuno
lo allontanava come fosse un pazzo o un maniaco, altri si fermavano ad osservarlo e lo deridevano. Per tutti era
un povero disgraziato sofferente di una qualche patologia che semplicemente
voleva attirare l'attenzione. Per lui lo sgomento si fece insopportabile e se
qualcuno, sui suoi passi esitava, lo afferrava per le braccia e gli urlava e
gli chiedeva come facesse a non capire. Ma quelle persone si liberavano dalla
sua presa e fuggivano spaventati. Allora gli venne in mente di scriverla, si
procurò il necessario e iniziò a scriverla su ogni muro. Ogni parete che
incontrava la ricopriva con la scritta. Anche di questo la gente rimaneva
insensibile e restavano a guardarlo con aria interrogativa. Ma lui non si
arrese, continuò ad urlarla e a scriverla per molto tempo. L'intera città
presto fu coinvolta ma in nessun volto che guardasse vedeva altro se non il
vuoto. La sua passione si trasformò in frenesia, si arrampicò ovunque poteva,
continuando a scriverla ed a urlarla, ma davanti, sotto e sopra di lui, i volti
erano tutti uguali: vuoti come la tristezza. Quando fu in cima ad una ripida
scalinata, in un movimento brusco, mise male un piede e perse l'equilibrio,
cadde rotolando per tutti i gradini e finì in fondo alla scalinata su di una
piazza. Era ferito mortalmente. La gente si fermò tutta ad osservarlo. Una
madre, poco lontano, teneva per mano la
piccola figlia. La bimba le
scappò e corse da lui, si intrufolò tra la folla e la madre la rincorse
spintonando le persone. La bimba raggiunse l'uomo sdraiato e morente, gli si
inginocchiò vicino con in volto un bel sorriso. Lui le prese la mano e
pronuncio la parola per l'ultima volta e quella fu l'ultima parola che disse.
La bimba sorrise ancora e pronunciò la parola per la prima volta e quella fu la
prima parola che disse. La madre arrivò su di lei proprio in quel momento e udì
la piccola dire qualcosa ma non capì. Allora chiese alle persone vicine che
cosa avesse detto e tutti quanti insieme pronunciarono la parola.
Il tempo si fermò e accompagnò un
uomo al suo riposo.
La madre abbracciò la piccola e
scoppiò a piangere. La gente che aveva detto la parola provò una gioia immensa
e inaspettata. I loro cuori si aprirono e sentirono la voglia di ripeterla
ancora. Si voltarono indietro, verso le persone più distanti e pronunciarono anche a loro la parola.
Quelle persone vennero avvolte
dalla stessa gioia e a loro volta si girarono e pronunciarono la parola ad
altre persone ancora, e così via. Da quel giorno tutta la gente iniziò a
pronunciare la parola e successero le cose che il mondo aspettava da sempre.
Scesero sulla terra la pace e l'abbondanza per tutti e in quella piazza venne
eretto un monumento che per la prima volta fu dedicato ad un uomo semplice.
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