mercoledì 19 settembre 2012

SEGUI I COMMENTI TRA ME E MIO PADRE - I miei articoli - LAVORARE PER LA PACE Perché fai la guerra papà?


Dopo gli innumerevoli commenti e le mail di molti lettori sull'articolo: "Smettere di lavorare", qui ripropongo un articolo che può esserne considerato la continuazione. 

Lavorare per la pace . Perché fai la guerra papà?





Il primo passo per cambiare qualcosa che non ci sta bene è creare con la mente un’alternativa, immaginare concretamente l’oggetto desiderato.

La pace, un mondo nuovo e più giusto, costruito sulla condivisione e sulla cooperazione, forse sta iniziando a delinearsi perché, sempre più persone, stanno cominciando a desiderarlo quindi a immaginarlo ma più di tutto, credo, stiamo cominciando a credere che sia possibile.
La vera rivoluzione inizia quando la moltitudine comincia a credere che un’utopia sia possibile.
Nel mio articolo precedente “Smettere di lavorare”, affronto la realtà del lavoro in un’ottica, a mio avviso, molto futurista o forse ancora di più… post-dimensionale; il lavoro, così come viene inteso oggi nelle culture dominanti sul nostro pianeta, nelle mie righe viene seriamente messo sotto accusa.
In questo articolo tento di scendere un po’ più nello specifico mettendo nel microscopio realtà lavorative come i militari e più sotto coloro impiegati nell’industria bellica sia di armi che di mezzi come navi, aerei, carri armati ecc.
Ovviamente conosco la differenza che esiste tra militari e civili impiegati nell’industria bellica.
Nella mia città, La Spezia, sono presenti entrambe le realtà: vi è l’arsenale militare e vi sono industrie belliche come l’ O.T.O. Melara (cannoni, carri armati, missili) e Fincantieri Muggiano specializzata nella costruzione di navi militari; in più c’è tutta una rete di piccole aziende che lavorano per questi colossi. Queste tre realtà unite a tutte le piccole aziende, offrono un’altissima percentuale di occupazione nella mia città. Quindi si può affermare che a La Spezia un grandissimo numero di persone lavora, percepisce uno stipendio, e mette le sue energie per contribuire a costruire armi e/o mezzi militari.
Tra le persone che conosco, che lavorano in questo settore, spesso tento di introdurre l’argomento in questione cominciando da una domanda: “Ma lo sai che tu contribuisci a mantenere la presenza della guerra nel mondo?
La risposta è pressoché la stessa: “Io non so cosa farci, questo è solo il mio lavoro, del resto come farei a vivere e a mantenere i miei figli, questa realtà mi dà uno stipendio.”
Bene, certo, io stesso non ho molti argomenti, però concludo dicendo: “Sappi però che per poter vivere tu e la tua famiglia contribuisci alla morte di altre persone da qualche parte nel mondo, perché se nessuno in tutto il pianeta accettasse di costruire armi o peggio ancora di schiacciare il pulsante per far partire un missile, e solo per uno stipendio, la guerra non ci sarebbe più.”
Perché coloro che muovono guerra contro qualcuno, se non ci fossero degli stipendiati ad aiutarli come farebbero? Insegnerebbero alle banconote a sparare o a guidare gli aerei?
Certo non è facile e non mi aspetto davvero che tutti si licenzino (anche se io l’ho fatto); il mio vero grande obbiettivo è sensibilizzare queste persone, quanto meno perché ci riflettano sopra.
Perché purtroppo è rara una risposta, tra quelle che mi danno, che possa essere più o meno così: “Lo so, hai ragione. Sai? A volte ci penso anch’io a queste cose e ti assicuro che ne soffro, ma io non so proprio come rimediare. Tu hai qualche idea?”
Che bella risposta sarebbe. “No, risponderei, nemmeno io conosco un modo per cambiare le cose, però mi fa piacere che sei sensibile a una realtà che ti vede coinvolto così da vicino. Credo che l’unica cosa che si possa fare, io e te insieme, sia di continuare a pensarci e provare ad inserire nella nostra vita concetti e teorie che introducono nuovi modelli sociali e trasmetterli a più persone possibili e piano piano vedere cosa succede.”
Se avessi la fortuna di fare un dialogo simile, quel giorno mi sembrerebbe un buon giorno, un inizio di qualcosa di nuovo, migliore.
Sicuramente persone pronte a pensare in questo modo ce ne sono, infatti non ho davvero intervistato tutti quelli, nella mia città, che lavorano in questo settore, ma credo e spero che ragionare in questi termini faccia bene a tutti e anche se con queste ultime righe specifico che non sto facendo di tutta un erba un fascio, lo ritengo un argomento importante capace di elevare le coscienze di tutti.
Ad ogni modo sono costretto ad introdurre un altro argomento che emerge dalla prima risposta dove viene messo in relazione lo stipendio con la famiglia.
La guerra, lo sappiamo benissimo tutti ormai, parte da un piccolo numero di uomini oscenamente ricchi che vogliono arricchirsi ancora di più. Sotto di loro ci sono i rappresentanti delle nazioni che volenti o nolenti fanno il loro gioco. Sotto ancora ci sono, in ordine gerarchico, tutti i militari e sotto ancora ci sono i lavoratori dell’industria bellica compresi scienziati e ingegneri.
Tolti i miliardari, i presidenti e i generali (perché anche loro guadagnano molto dalla guerra), tutti gli altri “fanno” la guerra solo per uno stipendio anche se ovviamente di valori diversi.
La maggior parte di queste persone (dai miliardari all’ultimo manovale)a casa hanno una famiglia e dei figli che dicono di amare.
Ora io mi chiedo: ma come fanno, se è vero che amano, soprattutto i loro figli, a fare la guerra?
Chi ama davvero non pensa minimamente di muovere guerra contro nessuno. Chi ama davvero non ha bisogno di impossessarsi di tutti i beni materiali che può arraffare anche a discapito della vita degli altri.
Chi ama davvero ha già tutto quello che gli serve, anche la saggezza di USARE tutti i beni materiali che gli servono e che desidera DAVVERO, nell’assoluto rispetto di questi oggetti, di sé e degli altri.
Chi ama davvero, credo con tutto me stesso, che si ponga il problema se il suo lavoro e le sue energie sono ben spese, ben impiegate e soprattutto ben investite nel futuro di chi dicono di amare.
Se ancora c’è la guerra, sul nostro pianeta, è perché non c’è ancora amore e se c’è, un padre mi deve far vedere dov’è.
E se credete che a fare la guerra siano gli “altri” allora dovete sapere che chi ci governa è la proiezione del pensiero o dell’incapacità di amare di tutti i popoli, quanto meno perché li lasciamo fare.
Sul pianeta siamo quasi 7 miliardi di persone; una decina delle quali ci governano, una decina di milioni formano i loro eserciti e sei miliardi novecentoottantanove milioni novecentonovantanovemila novecentonovanta persone, siamo tutti gli altri.
Secondo voi chi ha più potere?
Come dice Vasco Rossi: “se si girano gli eserciti, gli spari sopra sono per voi”.
A formare gli eserciti ci sono persone come noi.
Senza queste persone chi ci governa non PUO’ assolutamente fare nulla.
A pigiare i bottoni per far partire i missili sono le dita di un essere umano che non può, NON PUO’ amare la sua compagna e i suoi figli, NON PUO’!! se amasse, ma DAVVERO, piuttosto quel dito se lo taglierebbe.
E se la scusa potesse essere quella che il suo lavoro procura da mangiare proprio alle persone che dice di amare, mi chiedo come può, quell’uomo non capire che prima o poi le sue azioni, messe insieme a tutte quelle di uomini come lui, porteranno alla distruzione di tutto quanto.
E se mai dovesse arrivare quel giorno, cosa direbbe ai suoi figli?
E ancora, se i suoi figli dovessero chiedergli il motivo che lo spinge a fare quel lavoro, perché hanno appena visto in TV che le bombe che vengono lanciate o costruite da uomini come il proprio padre, uccidono persone e bimbi come loro, che cosa risponderebbe?

Perché fai la guerra papà?

Credo che sia difficile che i bimbi leggano questo articolo, allora qualche domanda la faccio io:
Se il tuo lavoro fosse quello di pigiare un bottone per far partire un missile, riusciresti a smettere di farlo se te lo chiedesse tuo figlio?
Se il tuo lavoro fosse quello di caricare quel cannone, riusciresti a smettere di farlo se te lo chiedesse tuo figlio?
Se il tuo lavoro fosse quello di costruire quel cannone, riusciresti a smettere di farlo se a chiedertelo fosse tuo figlio?
Se il tuo lavoro fosse quello di costruire navi, aerei da guerra, riusciresti a smettere di farlo anche se poi il giorno dopo ti devi inventare un modo per continuare a dare da mangiare a tuo figlio?
La guerra esiste anche “grazie” a te, che non riesci a smettere di farla o di aiutare coloro che la vogliono fare e spesso solo per uno STIPENDIO. Uno stipendio inadeguato, tra l’atro, al tempo che impieghi per lavorare e che peraltro togli a tuo figlio.
Ripeto: so benissimo che non è facile affrontare questi argomenti soprattutto se davvero il vostro sostentamento arriva “dalla guerra” ma almeno, vi prego, rifletteteci sopra.
Se molti di voi stanno già mutando le proprie idee e innalzano la coscienza abbandonando le paure, e le alternative si stanno già formando sotto forma di teorie, dovrete presto avere il coraggio di metterle in pratica.
Molti sostengono che le utopie non cambieranno il mondo, io sostengo invece che se cominciamo a mettere in pratica le teorie lo cambieremo davvero il nostro mondo e delle utopie, dopo, penseremo che sono state solo delle sfide capaci di metterci alla prova e ci hanno dato la possibilità di dimostrare a noi stessi quanto siamo capaci di brillare.









20 commenti:

  1. Non ho il minimo dubbio che l’origine delle guerre sia l’egoismo di pochi; e tra questi po-chi, che purtroppo nel mondo, però, sono molti, ci sono non solo gli egoisti ma anche gli stupidi e gli immorali, cioè quelli che per convinzione e/o non solo per interesse, credono che i problemi so-no risolvibili solamente con la guerra al “vicino di casa” o a chi possiede un “orto” più rigoglioso del suo.
    Detto questo, e apprezzando totalmente lo spirito del tuo articolo, vorrei riflettere, e aiutare a riflettere sul quadro che da esso, a mio parere, deriva.
    Al solito mi dirai che “non capisco”, ma mi sembra che l’unica maniera individuata per co-stringere il mondo a non fare più la guerra sia quella di invitare “chi prende uno stipendio, per di più inadeguato” per costruire strumenti di guerra, a rinunciarvi ricercando il suo sostentamento da altre attività.
    Non vi è dubbio che se questo fosse possibile, di colpo e contemporaneamente, su tutta la Terra, il problema verrebbe avviato a soluzione; ma questa totalità, sia quantitativa che temporale mi sembra una nobile utopia.
    Infatti, a mio parere, si può realisticamente credere che inviti come quello da te rivolto possa produrre la presa di coscienza del problema, in quei termini, a poche persone alla volta, ammesso che possa realmente succedere.
    Ed anche se vi fosse un effetto maggiore, anche a fronte di mille o diecimila “addetti” (ma anche di più) che diventassero contemporaneamente tanto maturi e consapevoli da mettere in atto quel comportamento, quegli “egoisti” o “disonesti mentali” cui accennavo prima, potrebbero facil-mente trovare il doppio delle persone disponibili a prendere il posto dei primi.
    Vorrei salvare, perché ci credo veramente, lo spirito del tuo articolo, ma invitarti a riflettere se non sarebbe più giusto non chiedere sacrifici individuali che si rivelerebbero inutili perché diluiti negli effetti deleteri di una società senza valori reali, ma anche senza grandi alternative per il so-stentamento degli individui, e convogliare le energie e le indicazioni circa la necessità di compor-tamenti più degni dell’Uomo in direzione della ricerca di altri mezzi utili al raggiungimento degli stessi obiettivi.
    Mi riferisco all’utilizzo dei principi che con tanta forza difendi, per far crescere la convin-zione che l’individuo può sperare di modificare il mondo che non condivide solamente unendosi a chi ha gli stessi valori per tentare di modificare i meccanismi decisionali della e delle società.
    Per sperare di riuscire a farlo, però, deve creare “massa” e “opinione” organizzata, attraverso le quali acquisire “potere” e mettersi in grado di dirigere e modificare gli orientamenti della società che, finora, ha prodotto le guerre o la paura delle guerre.
    Spero sia chiaro che le nostre differenze, in questo caso ma anche in altri, si limitano all’utilizzo dei “valori”, e non al merito degli stessi.

    20.09.12

    Piergiorgio

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  2. Io non mi sento nessun compito. Io bramo dal desiderio di sollevare questioni ovvie ma lungi dall'essere comprese dalle masse, almeno non ancora. Sai cos'è la coscienza collettiva? E' un concetto che forse non conosci nell'accezione spirituale che la vede come un'entità a sé stante che cresce ed evolve. Questa evoluzione avviene anche grazie a persone che condividono contenuti capaci di innalzare, appunto questa coscienza. E' ovvio che il mio articolo non cambierà mai il mondo. Ma il mio articolo, si unirà a ad altre forme-pensiero che creeranno a loro volta altre forme-pensiero e così via. Se la strada è lunga, io non lo so, ma so che è quella giusta. E se sono solo un teorico porto un messaggio che spero sia colto da chi può e sente di intraprendere azioni. Forse sono solo uno dei primi a parlare in questi termini ma non per questo devo essere anche colui che risolve questioni che se sono da solo, sono sicuramente più grandi di me. Andiamo avanti.

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  3. Bene! La coscienza collettiva!
    Non ho ben chiaro che cosa possa significare il fatto che, nella tua definizione, per me nuo-va, possa essere considerata come un qualcosa “che è a sé stante” (che dovrebbe significare auto-noma, non condizionata dalle convinzioni dei componenti la collettività) e con una “accezione spiri-tuale”, che “cresce ed evolve”.
    Può darsi il caso che ancora una volta io comprenda male quanto sostieni, ma ho sempre creduto che la coscienza collettiva fosse il risultato delle opinioni, delle aspirazioni, dei sentimenti, degli atteggiamenti e dei valori sostenuti e difesi nel corso della vita, dai singoli individui, e che crescesse e si evolvesse per effetto della crescita e dell’evoluzione della coscienza, specifica, di quei “singoli”.
    Certo, ognuno ha la propria “coscienza”, che inevitabilmente non è la stessa per tutti, ma quella collettiva non può essere che la sintesi dell’insieme delle coscienze individuali.
    Gli atteggiamenti non particolarmente diffusi e non particolarmente condivisi non entreran-no mai a far parte della “coscienza collettiva” che risulterà essere l’amalgama della parte di quelle convinzioni più sopra accennate che troveranno il massimo di diffusione tra gli individui che for-mano quella società o, anche più semplicemente, quella eventuale comunità.
    Partendo da questa considerazione, che ritengo difficilmente contestabile (ma se fosse qui il mio errore logico di partenza ti prego di spiegarmi come la coscienza collettiva può prescindere dai contenuti delle coscienze individuali che la formano diventando “a sé stante”), e ponendo particola-re accento sul fatto che ogni individuo ha la “SUA” coscienza individuale, cercherò di spiegare me-glio quanto ho sostenuto nel mio primo commento.
    Ogni individuo ha una propria coscienza che si forma e viene alimentata dall’ambiente, quello familiare e quello che ritrova sul luogo di lavoro; dalla cultura, quella scolastica e quella ac-quisita dalla vita e dagli impegni; dal reddito; dal modo di affrontare le responsabilità; dal peso as-segnato alla propria dignità, e via elencando, solamente per indicare alcune delle componenti con le quali si costruisce e si alimenta la coscienza di un individuo.
    Un individuo viene considerato compiutamente titolare di una coscienza, con la quale con-tribuirà a formare quella collettiva, quando acquista la nozione di “che cosa è” e di “chi è”; cioè quando conquista la consapevolezza di essere un “Uomo” (a partire dalla primissima infanzia quan-do si riconosce appartenente alla specie umana) e, più tardi e con il contributo dei componenti sopra accennati, di che “Tipo” di uomo è.
    L’uomo, se ne renda conto o no, “respira” la sua vita immerso nella propria coscienza, quel-la che si “ritrova”, se è un superficiale, o quella che si è conquistata se è un “essere pensante”.
    Nel vivere la società che lo circonda assumerà gli atteggiamenti che più si adatteranno alla propria coscienza, e potrà accettare o criticare, e anche condannare, il mondo in cui vive,.
    Nei secoli, le idee aberranti si sono dissolte e sono rimaste, o si sono ridotte, ad una margi-nalità ininfluente non entrando a far parte del vero bagaglio culturale della società, almeno nel men-tre si completavano i percorsi storici, mentre quelle delle minoranze più mature, in qualsiasi dire-zione fossero proiettate, sono sempre state diffuse e discusse da un insieme costantemente maggiore di persone fino ad emergere e ad impossessarsi, prima delle coscienze individuali e poi di quella collettiva.

    ……………..(CONTINUA)………
    Piergiorgio

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  4. Bene! La coscienza collettiva!

    …………….. (CONTINUAZIONE) …………..

    Le coscienze collettive che si sono venute formando nei vari periodi storici, hanno prodotto opinione, potere, classe dirigente e modifica della società.
    Nelle società primitive, o anche solamente di poco distanti, temporalmente, da noi, possono essere state delle elite privilegiate che prendevano o guidavano il potere (i “forti”, i ricchi o gli agia-ti, i colti e gli istruiti, e via dicendo, che formavano la “coscienza collettiva” o quella prevalente, del momento), ma non vi è dubbio che questo è sempre stato esercitato da chi si è imposto, in qualche modo, partendo da un basso numero di componenti e aumentando il numero di coloro che volevano raggiungere lo stesso obiettivo; e non vi è dubbio che la storia è stata fatta da uomini che hanno fermamente creduto nelle proprie visioni e le hanno diffuse insegnandole e facendole diventare “comuni”.
    Che qualche volta le idee siano state imposte non cambia nulla ai fini del nostro ragiona-mento perché occorreva, anche in quei casi, la partecipazione, più numerosa possibile, di persone che perseguivano gli stessi scopi.
    È vero che talvolta il potere è stato assunto per soddisfare ambizioni e non valori, ma in que-sta occasione mi preme esaminare l’origine ideale delle trasformazioni che hanno migliorato il mondo; in questo senso parlo di “coscienza”: qualcosa di sano, utile, morale, e desiderabile al fine di elevare l’anima dell’Uomo, non solamente il corpo.
    Oggi, diffondere delle idee valide e nuovi valori, come quelli da te tanto giustamente difesi, ma anche altri egualmente elevati e perseguibili, dovrebbe essere più facile, utilizzando la maggiore cultura e la maggiore diffusione dei mezzi di comunicazione (anche se sarebbe più giusto dire che desideriamo “ricordare” quali sono i valori che l’umanità migliore ha sempre desiderato).
    È partendo dall’individuo, considerato una tessera del puzzle della società, che occorrerà co-struire quella coscienza; che si dovrà riempire dei valori che vorresti vedere affermati, per ottenere una “coscienza collettiva” in grado di pretenderli e gestirli.
    E quell’individuo, nell’acquisire quei valori, dovrà comunque tenere presente tutte le com-ponenti che formano la sua coscienza, compreso la responsabilità verso la propria dignità e verso la propria famiglia.
    Nella tua risposta non mi contesti il fatto che, in mancanza di una modifica dei meccanismi di gestione e controllo della società, le fughe in avanti di pochi individui (ma anche di molti) non modificheranno mai le condizioni reali per ottenere una società più giusta e, perché no, più morale.
    A me sembra che se si vuole che una società acquisisca una “coscienza collettiva” che con-tenga valori più “alti”, occorra creare le condizioni affinché nel quotidiano, nella vita di tutti i gior-ni, modificando o creando meccanismi di cultura e partecipazione, gli individui siano capaci di ap-prendere e insegnare quei nuovi valori e di dotarsi degli strumenti per difendere e sostenere quelli che già hanno e per comprendere e far propri quelli che sono ancora patrimonio di pochi individui più maturi moralmente e spiritualmente.

    …………….(CONTINUA)…………
    Piergiorgio

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  5. Bene! La coscienza collettiva!

    …………..(CONTINUAZIONE)………….

    Le fughe in avanti, con l’esaltante sensazione di essere nel giusto e le rinunce, anche corag-giose, in nome dei principi, possono essere facili a chi deve pensare solamente a sé stesso, anche se gli va dato atto di coerenza e di coraggio, perché, dopo averle effettuate, sa di essere da solo a subi-re le conseguenze che derivano dal suo modo di esistere che difficilmente può essere contestato ne-gli scopi.
    Rimane la valutazione dell’effettiva proporzione tra scelte e risultati, se, cioè, il sacrificio e le scelte di pochi sono o saranno state in grado di aumentare realmente la ”coscienza collettiva” o non risulteranno improduttive di risultati realmente incisivi lasciando intatte le storture sopratutto culturali della società, perché non ricercheranno il “potere” necessario per correggere ed invertire quelle stesse storture (ma abbiamo visto che se anche i ”pochi” diventassero “di più” sarebbero e-gualmente ininfluenti sui processi da contestare).
    Le fughe in avanti, che peraltro non produrranno mai effetti reali, non saranno mai possibili a chi deve rispettare gli impegni e assolvere a responsabilità familiari che, con la direzione che ha dato alla propria vita, gli faranno scegliere strade diverse, magari con lo stesso obiettivo e con il so-gno di contribuire a realizzare una società differente e migliore.
    All’uomo va indicata (e insegnata) una strada che, pur consentendogli di far fronte ai propri impegni gli permetta di crescere culturalmente, magari anche all’interno della rabbia e del disgusto per ciò che si può ritenere “costretto” a fare, per entrare a far parte, in modo attivo o anche solamen-te in condizione mentale e ideale, del mondo che vuole avere la possibilità reale di modificare la so-cietà.
    Se non incidi sulla e dentro la coscienza individuale non contribuirai mai ad elevare quella collettiva.
    Se farai questa scelta, allora sì che avrai insegnato qualcosa; allora sì che avrai dimostrato qualcosa; allora si che avrai “indicato la strada”.
    Devi continuare il tuo percorso ideale, ma chiedi all’Uomo di lottare, non di assumere atteg-giamenti, certamente nobili, ma non realmente fruttuosi di risultati positivi.

    24.09.2012
    Piergiorgio

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  6. Inizio la mia risposta dichiarando che da un punto di vista dei valori abbiamo la stessa identica visione di una coscienza collettiva e sono d'accordo che deve partire prima dall'individuo, è ovvio che sia così.
    Tu sostieni che ognuno ha la propria “coscienza”e che quella collettiva non può essere che la sintesi dell’insieme delle coscienze individuali. Poi continui dicendo che gli atteggiamenti non particolarmente diffusi e non particolarmente condivisi non entreranno mai a far parte della “coscienza collettiva” Qui, perdonami, sei in errore e/o in contraddizione.
    La coscienza collettiva comprende tutti, anche quegli atteggiamenti poco diffusi. La coscienza individuale che si forma press'a poco con gli schemi che hai individuato tu, insieme a quelle di tutti gli individui, crea la coscienza collettiva ma questa direzione non è a senso unico, a sua volta la coscienza collettiva influenza le coscienze individuali rispalmando in esse le informazioni più diffuse: se un popolo pensa che essere schiavizzati sia l'unico modo possibile per sperimentare l' esistenza, crea una forma pensiero collettiva che a sua volta influenza i singoli individui. È un concetto di meccanica quantistica, cioè uno scambio bilaterale di informazione. La scienza moderna sta studiando questi fenomeni ma ancora si fa fatica a comprendere e inserire concetti che non sono più solo teorie ma ampiamente dimostrati. Un biologo britannico, Rupert Sheldrake definisce campi morfogenetici questi sistemi di scambio di informazioni e creazione di pensiero forma che partono dagli individui e creano il campo. http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/campi-morfici-o-morfogenetici-risonanza.php
    La scienza e la medicina ne hanno avuto da sempre un esempio lampante con il corpo umano e non solo: le cellule sono esseri viventi e sono organizzate in modo da creare una coscienza superiore che vive e pensa grazie alla loro collaborazione ma per contro questa coscienza superiore può influenzare tutte le cellule in vari modi perché tutto è interconnesso. La malattia ne è l'esempio più pratico, perché ormai tutti sanno che le malattie hanno origine nella mente (anche i virus: la mente origina la predisposizione ad infettarsi) ma ad esempio anche la gravidanza che genera nel corpo della madre, attraverso le ghiandole endocrine, quello stato di gioia ed euforia che viene trasmesso ad ogni singola cellula che si organizza e si prepara al gioioso evento. Queste informazioni vengono comunicate attraverso la coscienza.

    Continui dicendo che nei secoli, le idee aberranti si sono dissolte e sono rimaste, o si sono ridotte, ad una marginalità ininfluente non entrando a far parte del vero bagaglio culturale della società, mentre quelle delle minoranze più mature sono sempre state diffuse e discusse da un insieme costantemente maggiore di persone fino ad emergere e ad impossessarsi, prima delle coscienze individuali e poi di quella collettiva.
    Anche qui non sono esattamente d'accordo: sicuramente c'è stata una crescita positiva in termini di valori e qui mi contrappongo, come dici tu, alle idee aberranti. Il problema a mio avviso è che le forme pensiero negative si sono oltremodo, invece, inserite nel bagaglio culturale della società sotto forma di paure e odio che vengono create dal potere per poter controllare le masse. La crescita positiva è stata pilotata (dobbiamo rivalutare il concetto di benessere) dai despoti elargendo benessere fino al punto da non indurre il popolo al tumulto. Quindi ciò che tu dici pensiero delle minoranze più mature è esistito ma non è stato capace di infiltrarsi in modo originale nel tessuto sociale ma è stato strumentalizzato per poter creare una nuova e moderna e soprattutto celata forma di schiavitù.

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  7. CONTINUAZIONE...
    Se una volta gli schiavi venivano frustati e uccisi, oggi vengono assunti nelle fabbriche e stipendiati, se una volta il tempo che veniva tolto loro era totale, oggi si aggira intorno alle 8 ore al giorno per 5/6 giorni la settimana. Il vantaggio per il despota è che lo schiavo credendo di essere libero, perché alla sera torna in una casa che crede sua, non gli salterà mai in mente di fare una rivoluzione. In più, intorno a lui viene creato tutto un mondo virtuale vomitato dalla TV e dai media in genere, che crea separazione tra gli individui cosicché sia sempre più difficile che questi si uniscano in una, appunto, coscienza collettiva, potente. E la politica, perdonami, in quest'ottica, è concepita per questo scopo: dividere.

    Di seguito affermi che la coscienza collettiva può essere stata delle elite privilegiate che prendevano o guidavano il potere (i “forti”, i ricchi o gli agiati, i colti e gli istruiti, e via dicendo, che formavano la “coscienza collettiva” o quella prevalente, del momento)
    Io affermo invece che la coscienza collettiva è ed è sempre stata formata anche dal popolo in una specie di mescola che crea equilibrio tra le due energie:
    1.istruiti, ricchi ecc.
    2.ignoranti e succubi.

    Le due energie sono in equilibrio in un'unica coscienza collettiva e le varie oscillazioni di queste energie, che nel tempo hanno creato i vari sviluppi sociali, creano l'impronta energetica della coscienza collettiva propria di quel tempo.
    Mi spiego meglio: se l'intera umanità fosse sottomessa e schiavizzata, tenuta nell'ignoranza più completa e usurpata di ogni diritto da un manipolo di despoti, si verrebbe a creare una coscienza collettiva molto bassa energeticamente nella quale le informazioni più diffuse sarebbero odio, paura, convinzione che il mondo normale sia quello, molta divisione e separazione tra gli individui e ogni individuo dal suo sé superiore.
    Secondo esempio. Se l'umanità fosse completamente risvegliata, collaborasse e condividesse tutto nella più completa armonia, nel rispetto di tutto ciò che esiste e al posto di un potere ci fosse un centro di gestione assegnato ai maestri più saggi, se questa umanità avesse trasceso l'odio e tutte le basse frequenze, la coscienza collettiva non solo sarebbe di una più alta vibrazione energetica ma, proprio grazie all'unione di tutti gli individui, creerebbe una sua identità propria, come sostenevo poco fa con l'esempio del corpo umano.
    La coscienza collettiva è l'insieme di TUTTE le coscienze individuali
    La coscienza collettiva non è di chi detiene il potere.
    La cultura dominante non è la coscienza collettiva.
    La cultura dominante è il risultato dell'energia vibrazionale della coscienza collettiva.



    In riferimento al fatto che non ti contesto il tuo concetto che: in mancanza di una modifica dei meccanismi di gestione e controllo della società, le fughe in avanti di pochi individui (ma anche di molti) non modificheranno mai le condizioni reali per ottenere una società più giusta e, perché no, più morale, voglio specificare che le fughe in avanti sono sempre state, da che mondo è mondo, i primissimi dignitosi tentativi di cambiare le cose: ma se le masse sono convinte di stare bene e di essere libere e il malessere viene genialmente dirottato e mutato in modo che le origini di esso siano imputate all'“altro” e al diverso, siamo in un sistema dunque che potrà solo collassare, quindi la presa di coscienza collettiva passerebbe per forza da un crack su larga scala. Fortunatamente vi sono coloro tanto audaci da fare le fughe in avanti (già da come le hai definite si intende un progresso, comunque) che rappresentano l'unico e il solo modo per INIZIARE un percorso di cambiamento. Tra me e te c'è una grossa differenza di veduta circa questo argomento: tu sostieni che i cambiamenti devono avvenire dall'interno del sistema dominante. Io sostengo che prima va demolito il sistema e poi si ricostruisce. Come?
    CONTINUA..

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  8. CONTINUAZIONE...
    Torniamo al punto che mi critichi, non lo so, sono solo uno che fa una fuga in avanti, posso solo fare questo per INIZIARE da qualche parte e strada facendo vediamo chi e come si unisce, se incontrerò chi come me ha già intrapreso la sua fuga, e insieme vedremo cosa fare passo per passo.
    Il potere è sempre stato usato per soddisfare ambizioni e non valori, non come dici tu “talvolta”, è per questo che credo e sostengo (e siamo in tantissimi a crederlo) che il cambiamento deve essere un cambiamento profondo che parte dalle coscienze per arrivare a demolire tutto il vecchio. L'umanità, Gaia necessitano di una catarsi. Quello che proponi tu, di continuare a seguire la politica, anche con i migliori valori rappresentabili, non porterà mai da nessuna parte. Proprio tu mi hai fatto leggere il dibattito che scrivesti 50 anni fa quando eri impegnato in politica: sono parole attualissime e ricordi la prima cosa che ti dissi? Pà, in 50 anni non è ancora cambiato niente. Come puoi non capire che è arrivato il momento di arare il terreno della nostra società per ribaltare tutto quanto?
    Poi c'è il passo in cui tu dici che occorre creare le condizioni affinché nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni, modificando o creando meccanismi di cultura e partecipazione, gli individui siano capaci di apprendere e insegnare quei nuovi valori. Perfetto, come dico io: bisogna porsi il problema di cosa stiamo facendo, tutti quanti a livello individuale, del nostro tempo e delle nostre energie e cercare di capire se, ad esempio, il nostro lavoro porta un contributo al mondo che vorremmo creare. Cosa intendi per quotidiano? Il lavoro è la cosa più quotidiana che ci succede. Per evolvere, ci sono sicuramente delle cose da iniziare a fare ma ce ne sono anche tante altre che dobbiamo smettere di fare. Chi produce armi deve smettere di farlo come chi le usa perché quello è il suo “lavoro”. Chi produce oggetti che hanno il solo scopo di arricchire i potenti deve smettere di farlo, chi attraverso il suo lavoro inquina deve smettere di farlo...non devono smettere coloro che producono il necessario alla vita in azioni ed espressioni che sono in armonia e rispetto del tutto e coloro che amano quello che fanno (quando ciò che fanno è in armonia con il tutto) perché questi contribuiscono a innalzare la coscienza collettiva.. e poi ci sono tantissime altre cose, da dover iniziare e tante altre da smettere.
    Tu dici:
    Rimane la valutazione dell’effettiva proporzione tra scelte e risultati, se, cioè, il sacrificio e le scelte di pochi sono o saranno state in grado di aumentare realmente la ”coscienza collettiva” o non risulteranno improduttive di risultati realmente incisivi lasciando intatte le storture soprattutto culturali della società....

    Prima di tutto vorrei che ti relazionassi con me senza essere mio padre, perché in queste righe sento la tua preoccupazione per le mie scelte. So benissimo tuttavia che il tuo pensiero sarebbe più o meno lo stesso ma credo sia importante che tu riesca a dissociare il più possibile il rapporto che abbiamo dalle tematiche che affrontiamo.
    Seconda premessa: uomini come Giordano Bruno, Socrate, ecc sono stati bruciati vivi, avvelenati lapidati ecc perché hanno avuto il coraggio di mantenere ferme le loro idee anche di fronte alla minaccia della morte. Come interpreti la relazione tra scelte e risultati di quelle terribili esecuzioni? Che rapporto ci può essere tra il lasciarsi uccidere e qualsiasi risultato positivo? Questi uomini non solo ci fanno da esempio, ma grazie alla loro scelta oggi le loro idee sono scolpite nella roccia.
    CONTINUA..

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  9. CONTINUAZIONE..
    È vero che sono da solo e mi assumo solo le mie responsabilità ma io sarei capace di farmi uccidere per quello che penso. Io ho solo lasciato il mio lavoro e non mi preoccupo minimamente delle conseguenze ma se questa notte fossi rinchiuso in una cella aspettando la mia esecuzione e tu potessi venire a parlare con me per l'ultima volta cosa verresti a dirmi? Di cedere per continuare a vivere o saresti fiero di me, nel dolore più grande che so che potresti provare?
    È ovvio che non c'è relazione tra lasciare il lavoro e farsi uccidere ma dal tuo punto di vista non dovrebbe esserci solo perché del fatto che ho lasciato il lavoro non se n'è accorto nessuno, non almeno come se domani mi bruciassero a Campo dei fiori. È qui la differenza perché fortunatamente nessuno mi ucciderà per quello che penso ma dal mio punto di vista è la stessa cosa e anche se fa meno clamore e quindi sembra più inutile, di contro ho la possibilità di scrivere le mie idee che possono arrivare a tantissime persone (possibilità che illustri martiri della storia non avevano almeno in tempo reale). E se scrivo le mie idee che contribuiranno ad innalzare la coscienza collettiva, lo faccio con un'onestà di base perché io metto in pratica ciò che penso e quindi poi lo scrivo. Questa forza, e credimi è una forza, contagia persone a fianco a me, ma non solo, non avendo l'esclusiva di questa energia, altre persone stanno maturando, e iniziando a intraprendere gli stessi passi altrove. Quando ai tuoi occhi non sarò più solo potrai vedere come queste anime avranno facilità ad unirsi e come saranno ispirate a trovare soluzioni al crollo degli schemi che hanno coraggiosamente e faticosamente buttato giù. Per edificare serve un luogo, se il luogo è INGOMBRATO prima bisogna demolire la vecchia costruzione.

    Le fughe in avanti, che peraltro non produrranno mai effetti reali, non saranno mai possibili a chi deve rispettare gli impegni e assolvere a responsabilità familiari che, con la direzione che ha dato alla propria vita, gli faranno scegliere strade diverse, magari con lo stesso obiettivo e con il sogno di contribuire a realizzare una società differente e migliore.
    Certo, chi ha famiglia ha poche possibilità di fare l'eroe, almeno fino a quando il suo bel mondo di cartone non gli si ripiegherà addosso. Sono d'accordo che nonostante questo possa soffrire delle condizioni in cui vive e che sogna e spera un mondo migliore. Le fughe in avanti se le può permettere chi è da solo, chi rasenta la follia, chi ha qualcosa da dire, chi studia e si prepara ai cambiamenti, chi ha il coraggio di farle e anche quei padri che capiscono che forse una fuga in avanti è un esempio e un investimento nella vita del proprio figlio perché a un certo punto hanno capito che quel mondo non è il mondo che vorrebbero lasciare alla loro prole. Tu affermi che non produrranno mai effetti reali..... staremo a vedere...

    All’uomo va indicata (e insegnata) una strada che, pur consentendogli di far fronte ai propri impegni gli permetta di crescere culturalmente, magari anche all’interno della rabbia e del disgusto per ciò che si può ritenere “costretto” a fare, per entrare a far parte, in modo attivo o anche solamente in condizione mentale e ideale, del mondo che vuole avere la possibilità reale di modificare la società.
    Se non incidi sulla e dentro la coscienza individuale non contribuirai mai ad elevare quella collettiva.
    Se farai questa scelta, allora sì che avrai insegnato qualcosa; allora sì che avrai dimostrato qualcosa; allora si che avrai “indicato la strada”.
    Devi continuare il tuo percorso ideale, ma chiedi all’Uomo di lottare, non di assumere atteggiamenti, certamente nobili, ma non realmente fruttuosi di risultati positivi.

    I propri impegni? Nei confronti di chi o di che cosa? Quale responsabilità più importante può rivestire un essere umano, attualmente, che risvegliare se stesso, stimolare il risveglio a chi è a lui vicino, e salvaguardare la VITA in tutte le sue forme?
    CONTINUA..

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  10. CONTINUAZIONE..
    Alludi a impegni di lavoro? O la partecipazione alla realtà politica attraverso il voto? Cioè a tutte quelle attività ampiamente sperimentate che continuano a creare il mondo così come è oggi?
    O forse parli di impegni come genitori? E allora ripeto: quale insegnamento più alto può dare un padre ad un figlio se ha il coraggio di fare una fugai in avanti? Un padre deve assicurare amore e cibo e questo non mancheranno mai, non deve più assicurare però una falsa sicurezza in un mondo che è tutto tranne che sicuro.
    Preparati perché le nuove generazioni (e non intendo i giovani ma tutti coloro che saranno la nuova umanità) stanno abbandonando definitivamente i vecchi impegni e si uniscono a creare forme pensiero molto diverse da quello che pensi tu come metodo di rinascita. La nuova umanità sta creando, a livello di coscienza, alternative che esondano da quello che punti di vista come il tuo credono che sia l'unico metodo possibile. C'è un'evoluzione/rivoluzione in atto e a me sembra purtroppo che tu non lo percepisci ma devi soltanto stare a guardare.
    Quello che sto facendo o che provo a fare è proprio quello che tu mi suggerisci: indicare una strada. Le parole che scrivo vogliono proprio arrivare a stimolare un pensiero che dilati in dimensioni nuove, più evolute, più consapevoli, ho sottolineato il concetto che non mi aspetto che si licenzino, anche perché non è davvero l'unica realtà da prendere di petto e poi non è davvero il primo passo, il primo passo è la coscienza, prima individuale e poi collettiva. Che lotta meravigliosa e pacifica potrà essere quella di abbattere i vecchi, dannosi e pericolosi schemi?
    Voglio concludere specificando che i nostri valori (i miei e i tuoi) sono identici, ma se posso permettermi, vedo che a te manca una retro cultura esoterica e spirituale che ti ostini a tenere fuori da questi argomenti.... ma presto capirai che l'evoluzione pratica, oggettiva, di schemi economici e sociali, passerà proprio attraverso questi aspetti che ancora non sai che sono la nostra natura più profonda e più vera. Tu vedrai che i cambiamenti si materializzeranno proprio grazie al fatto che la maggior parte delle persone scoprirà ed accoglierà dentro di sé la propria natura spirituale.
    FINE

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  11. Costruire il futuro

    La coscienza collettiva non è un contenitore dove entrano tutte le coscienze individuali, quelle buone, quelle cattive e quelle così così.
    Non è un contenitore dove ogni uomo rovescia le proprie tasche mentali e alla fine vi trovi dentro tutto quello che esiste nelle teste di tutti gli uomini.
    La coscienza collettiva si forma, sì, utilizzando ciò che quelle tasche contengono, e che, uscendo dalla metafora, potremmo ricondurre ad essere le anime e le coscienze degli individui, ma filtrando e quindi escludendo quello che non è maggiormente diffuso e condiviso.
    Nell’indicare la coscienza collettiva come l’insieme delle aspirazioni e convinzioni migliori, tra quelle che possono albergare nell’animo umano, mi richiamavo ad un’idea di coscienza per come vorrei che fosse quella individuale e, quindi, come vorrei che diventasse quella collettiva.
    Questa idea, ma anche la convinzione che la coscienza collettiva non “dovrebbe” essere una coscienza negativa, tra l’altro, rincorreva l’immagine di quella coscienza che tu stesso delineavi quando, nel tuo primo commento (28.09.12 - 02:48), nel mentre la elevavi ad un’entità non solamente autonoma, ma anche “spirituale” che si evolve, sostenevi che “Questa evoluzione avviene anche grazie a persone che condividono contenuti capaci di innalzare, appunto questa coscienza.”
    Perciò, se avevo e se ho capito bene, anche tu, con il tuo desiderio di rintracciare o di contribuire a costruire una coscienza collettiva, pensi ad un “contenitore” dove i valori sono positivi.
    Pur dentro quell’ottica, logicamente, non mi sento di escludere che in particolari momenti storici la coscienza collettiva non possa essere stata e sia costituita “anche” da elementi negativi.
    Meno che mai confondo la “Cultura dominante” con la “Coscienza collettiva”; per fortuna è successo e succede che possano essere non solamente diverse ma in contrasto tra loro.
    In aggiunta si può sostenere che spesso, nella storia, chi deteneva il potere (o lo detiene) pur partecipando alla formazione della cultura dominante, non solo non ha concorso (o non concorre) anche alla formazione della coscienza collettiva, ma non ha avuto (o non ha) una coscienza degna di quel nome.
    Inoltre mi sembra evidente, se continuiamo a guardare la storia, passata e recente, che possano esserci stati momenti in cui, nella coscienza collettiva, ci sia stata una prevalenza di valori non solamente negativi ma addirittura aberranti; basti pensare al nazismo di Hitler.
    Ed è anche vero che la coscienza collettiva può essere, e spesso è, un veicolo di contagio alla rovescia, cioè diventa capace di influenzare e condizionare con direzione inversa gli individui.
    Ma ciò accade sia in positivo che in negativo, e il nostro scopo è quello di diffondere convinzioni e ideali che concorrano, attraverso quelle individuali, all’elevazione della coscienza collettiva che poi, con l’utilizzo di quell’effetto di ritorno, possa aiutare la modifica di atteggiamenti errati e l’assunzione di nuovi comportamenti personali.
    Nel riferirmi ad una coscienza collettiva “positiva” mi riferivo, perciò, a quella che sia io che te, vorremmo che inondasse il mondo.
    E ognuno concorre a incrementare o decrementare i valori di quella coscienza, e sicuramente, chi ha più valori, come te, può e deve aiutarla a crescere e a diffondersi e dovrebbe contribuire a farle prendere, attraverso i singoli individui, cognizione di sé e del reale potere che avrebbe, se fosse, però, consapevole della forza che potrebbe rivendicare di avere e quindi di esercitare.
    È questo il senso delle mie affermazioni che tendono a spingere in direzione dell’intervento “dall’interno del sistema”, non nel senso che esso possa auto rigenerarsi spontaneamente, ma che proprio quelli come te, si introducano nei suoi gangli vitali per creare le condizioni indispensabili per utilizzare in proprio le strutture e gli organi di potere, correggendoli e indirizzandoli verso nuovi obiettivi.

    ……….continua……..

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  12. Costruire il futuro
    ………….. (2) continuazione………..

    Gli strumenti, se li volete trovare ci sono, perché è il sistema stesso che volente o nolente, li ha creati o lasciato che si creassero (uso volutamente il plurale perché idealmente mi rivolgo a tutti gli uomini che come te, indipendentemente dalla condivisione dei metodi, hanno quegli stessi ideali; ormai per me è tardi, ma sai che sarei sicuramente ”di spalla”).
    Quegli strumenti vanno riconosciuti come tali e utilizzati, e sono la cultura, le maggiori possibilità di comunicazione quindi l’informazione, la stessa “democrazia” che consente, a chi lo vuole, di partecipare ai processi decisionali, in ultima analisi “addirittura” la politica attraverso la quale si stabilisce CHI esercita il potere.
    Ricorda: tutto dipende da chi sono i “CHI” e da quanti sono.
    Non ultimo, fra quegli strumenti, puoi ritrovare anche uno zoccolo duro della coscienza dell’umanità, che da sempre ha sognato e sogna un mondo più giusto ed equilibrato.
    Non si può pensare di lasciare il sistema che si vuol combattere, lì, tranquillo, a continuare ad esercitare il “suo” potere e ad impedire evoluzioni culturali, morali ed economiche che possano essere realmente inserite in contesti come quelli cui ambedue aspiriamo, aspettando una ipoteticamente inevitabile implosione confidando su sparute affermazioni e su pochi o anche relativamente tanti, comportamenti anche se lineari e coraggiosi.
    Non si può, cioè, credere che sia possibile costruire un “mondo” esterno all’attuale potere senza immaginare un processo credibile di sostituzione che non sia, almeno spero, violento e portatore, quasi sempre, oltre che di dolore e distruzione mentre si manifesta, anche di odio e tragedie sul piano personale e collettivo con l’inevitabile degrado di quella stessa maggior moralità e di quel maggior amore per il mondo e per l’umanità che dovrebbe ispirare e guidare proprio chi vuol cambiare questo mondo esecrabile per molti aspetti.
    Tornando al tuo commento, sono d’accordo con te che il potere è sempre stato usato per soddisfare ambizioni e non valori; mi contesti di aver scritto che ciò è avvenuto “talvolta” e credo che il rimprovero sia sufficientemente esatto, almeno nel senso che avrei dovuto dire che, anche quando è accaduto che il potere venisse assunto in nome di ideali, spesso nell’utilizzarlo, tranne forse rarissime occasioni per di più molto ridotte nella loro durata, alla fine sono ritornati prevalenti gli interessi di parte, per loro natura egoistici e spesso produttori e protettori di privilegi economici e politici vecchi e nuovi.
    Occorre anche dire, però, che spesso, troppo spesso, i popoli sono andati a rimorchio dei promotori dei sovvertimenti politici senza avere piena coscienza né della propria forza né dei propri reali diritti, e che è sempre stato diffuso il convincimento che il povero o il socialmente debole non ha alcun potere, perché il potente glielo ha sempre fatto credere.
    Nell’accettare, anche se parzialmente il tuo rimprovero, però, se le mie sensazioni sono corrette, mi preoccupa quanto ne fai derivare.
    Ho l’impressione di intravvedere, in sottofondo, uno scenario dove non esiste spazio al dialogo, al confronto, alla costruzione pacifica di alternativa e di sostituzione delle forze che gestiscono il potere, ma solamente soluzioni dettate da rabbia e generanti violenza.
    Sulla “rabbia” sono anche d’accordo, il problema è come la gestisci e quali sbocchi gli dai; sulla “violenza” tornerò più avanti.

    ………………continua………..

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  13. Costruire il futuro
    ..…….. (3) Continuazione……….

    Per il momento mi interessa richiamare la tua attenzione sul fatto che quand’anche avvenisse la “catarsi” (e se “credi” nell’uomo non puoi evitare di credere che potrebbe avvenire anche con percorsi di pace e se non ci “credi” non puoi sperare che si evolva moralmente tantomeno per effetto di episodi o esempi non particolarmente comprensibili e diffusi), subito dopo sarà necessaria quella partecipazione, quella consapevolezza e quel controllo del “pubblico” che solamente una “politica” non rifiutata ma partecipata e non delegata può assicurare.
    Se non fosse, o se non sarà così, l’umanità si ritroverebbe ad aggiungere un altro episodio tra quelli, pur pochi, che hanno visto nella storia il potere assunto per “ideali” e poi, per la mancanza o per l’abbandono delle facoltà di controllo dell’umanità stessa, ritrasformarsi in esercizio di convenienze, privilegi e abusi.
    Anche nel caso di una “catarsi”, che non è assolutamente obbligatorio che debba essere violenta, giocherà un ruolo fondamentale e inevitabile la “quantità” di coscienza individuale che creerà quella collettiva, ma soprattutto, conterà la “quantità” di partecipazione al ”controllo” dell’esercizio del “nuovo” potere.
    Il valore e l’importanza e l’efficacia di questa “quantità” sarà determinato da quanta “politica” ci sarà nel mondo “rigenerato”.
    Mi rimane soltanto, su questo ultimo argomento, di chiudere il cerchio chiedendomi: ma se è vero che per controllare il mondo nuovo e rigenerato l’umanità dovrà fare “più” politica per non essere nuovamente ingannata, allora, non è che se insegnassimo al mondo attuale a fare quello che comunque dovrà fare “dopo”, già oggi si potrebbero avere o avviare soluzioni e miglioramenti?
    E qui torniamo al “come fare” per continuare a sognare e ad essere tanto splendidamente utopici da sperare di, almeno, avviare il mondo su quella strada.

    Guardando l’evolversi della coscienza collettiva dei popoli, almeno quelli a noi vicini culturalmente, mi sembra di intravvedere una tendenza ad un percorso evolutivo del pensiero e dei costumi che tende ad elevare l’umanità.
    Sai che sono convinto che se indicassimo il percorso storico della coscienza collettiva dell’umanità, così come per la morale, l’etica, ed altro, io vedrei un grafico che, pur con punte in salita frammiste ad innumerevoli ricadute in basso, indicherebbe una direzione di tendenza inequivocabilmente rivolta verso l’alto.
    Se guardiamo quel grafico ingrandendo i periodi di osservazione fino a farli diventare anni, o peggio, mesi, probabilmente (o certamente) potremmo trovarci, oggi, dentro ad una punta rivolta al basso.
    Ma se vuoi essere “un sognatore”, allora parti dal constatare che i “sogni”, nella storia hanno già prodotto qualcosa di migliore di quello che c’era in tempi, per fortuna, passati.
    E più andrai indietro nel guardare l’evoluzione della coscienza e delle convinzioni umane, più potrai trovare differenze migliorative.
    Vorrei richiamarti alla necessità di “credere” nell’Uomo; alla sua capacità di utilizzare l’intelligenza per crescere “culturalmente” nel senso di acquisire sempre di più la consapevolezza dell’inevitabile necessità di vivere, ma soprattutto convivere, con gli altri e, nel farlo, di incominciare a pensare all’ambiente che lo circonda.
    Una delle cose che dovrà diventare patrimonio culturale degli individui, e che fin che non lo capiremo non avremo la reale dimensione del problema che dobbiamo affrontare e risolvere è che dobbiamo smettere di pensare all’ecologia come a qualcosa che ha come obiettivo la salvezza del pianeta.

    ………. Continua ……….

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  14. Costruire il futuro
    ……….. (4) continuazione………….

    Gli uomini devono comprendere che quello da salvare non è il pianeta, che anche se avvolto di azoto o di anidride carbonica, svuotato del petrolio o distrutto idrogeologicamente, continuerà ad esistere, con altre caratteristiche ma continuerà ad esistere e, se potesse, riderebbe della stupidità di quella razza che si credeva intelligente.
    Gli uomini devono salvare, nel senso di proteggere e mantenere, il loro habitat, quello che ha permesso loro di trasformarsi da esseri unicellulari a organismi superiori dotati di intelligenza.
    Ecco! Se ce l’ha l’intelligenza lo dimostri, e nel mentre salva la sua possibilità di continuare ad esistere, usi quell’intelligenza anche per costruirsi una società intrisa di quei valori che insieme difendiamo.
    Non sarà facile portarlo alle vette cui aspiri, e, soprattutto, non sarà possibile farlo in tempi rapidi, ma sono sicuro che la direzione di marcia sia quella, malgrado tutto, e proprio grazie a quanto quello in cui credi (crediamo) è seminato, da secoli, proprio nella coscienza collettiva dell’umanità, che da sempre aspira a raggiungere quegli obiettivi.
    A questo punto, accettando che la direzione di marcia dell’umanità sia quella che entrambi desideriamo, rimane da capire quale sia la strada migliore da intraprendere per fargliela percorrere in tempi ragionevolmente brevi.
    Possiamo anche essere d’accordo che occorre “demolire il sistema e poi ricostruirlo”, come tu affermi. Ma a questa affermazione diamo sicuramente una interpretazione diversa.
    Qui devo introdurre una divagazione dal contesto, per inserire una riflessione di carattere generale sul tuo pensiero riprendendo anche quanto rilevavo più sopra.
    Nei tuoi scritti, e nei dialoghi che abbiamo avuto e che abbiamo, oltre che nei tuoi comportamenti di vita, ho sempre riscontrato la prevalenza di sentimenti di amore rivolti a tutto ciò che ti circonda, siano essi i tuoi cari, sia i più vicini che quelli più lontani, siano gli esseri umani più in generale, siano gli animali o sia, ancora, la natura in tutti i suoi aspetti.
    Questi sentimenti li ho sempre rilevati come estremamente sinceri e originati da profonde certezze etiche e morali fatte proprie per convinzione e non per quella sorta di ricerca di un “tornaconto finale” che contraddistingue molte persone che più a parole che a fatti, sostengono alcuni o tanti dei tuoi valori.
    Questa visione del mondo e del rapporto tra le sue componenti, perciò, dovrebbe impedirti di considerare la violenza come uno dei modi “accettabili” per risolvere i conflitti.
    Anche se non lo affermi mai in modo chiaro, so che quando parli di “demolire e ricostruire” e più sotto ”arare il terreno” e ancora “ribaltare tutto”, non fai riferimento a frasi allegoriche, ma contempli la reale possibilità di sovvertimenti cruenti.
    Ti seguo idealmente, spesso anche compiaciuto e orgoglioso per la passione che metti nel sostenere i tuoi ideali di fondo, e quando usi espressioni di questo tipo, mi fai intravvedere una possibile contraddizione del tuo animo.
    È possibile che io interpreti male quanto scrivi o dici, e sarò felice di verificarlo con te perché mi piacerebbe che non esistesse in nessun uomo, mai, la capacità di immaginare la violenza come una soluzione; ciò sia detto riconoscendo che può anche diventare inevitabile ma non può mai essere né auspicata né provocata, ed anzi, occorrerebbe utilizzare ogni risorsa fisica e mentale per tentare di evitarla a sé e al mondo.
    Fatta questa premessa, voglio stupirti.
    Anch’io credo che il mondo, l’umanità nel suo insieme, non potrà reggere a lungo, accettando e sopportando le ingiustizie e gli squilibri creati e alimentati da avidità e dal potere che li difende.
    A parziale differenza con la tua ipotesi del verificarsi di quella possibilità violenta c’è la quasi certezza che, nel caso, o quando, avvenisse, le cause che potrebbero originarla non sarebbero gli ideali ma i bisogni.

    ………….. continua………..

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  15. Costruire il futuro
    …………. (5) continuazione…….

    La nostra differenza di fondo è però, credo, sul significato che diamo della parola “politica”, ma soprattutto, sul suo “valore” e del modo con il quale pensiamo che quella attività sia utile o opportuno usarla e, quindi, sia indispensabile per gestire una società.
    Nello sperare di riuscire a farmi capire mi preme svolgere alcune considerazioni per arrivare, con argomenti preparatori, a riaffrontare con te il tema dell’utilità, ma oserei dire l’ineluttabilità, della politica, ed infilarci dentro anche il concetto della fuga in avanti.
    L’embrione del ragionamento che cercherò di ampliare lo hai sicuramente già intravisto più sopra.
    Per sviluppare le mie riflessioni non ho la necessità di stabilire se una eventuale “rivoluzione” o “rivolta” (o qualsiasi altra forma possa prendere una ipotetica rottura degli equilibri sociali), sia o possa essere alimentata da ideali o da bisogni; mi è sufficiente avere presente che la violenza sarà (o sarebbe) una tragedia che dispenserà, prima di tutto, dolore e poi, distruzione e morte.
    Avendo ben chiaro il contesto della tragedia cui si sottoporrebbero (e sarebbero sottoposti) gli individui, si può prendere in esame un qualsiasi scenario di partenza, ma soprattutto occorre capire quale potrebbe essere quello di arrivo.
    Tralasciamo, quindi, se si parte dagli ideali o dai bisogni, e chiediamoci se la violenza è stata l’effetto di un atto spontaneo o di un processo organizzato (in questo secondo caso qualcuno avrebbe già fatto “azione politica”; se si comprende questo ci si dovrebbe anche rendere conto che la politica è “utile”).
    Poniamoci il problema, invece di che cosa succede all’umanità che ha prodotto la ribellione e che, magari giustamente e con obiettivi sani, ha “arato” il terreno sul quale vive.
    Che cosa fa, quello che rimane dell’umanità, dopo? Si sparpaglia libera e anarchica per il pianeta, o si riorganizza su basi più accettabili mettendo in discussione il modo con il quale vuole che le nuove regole per le quali ha lottato e sofferto, siano applicate e rispettate? E come fa a riorganizzarsi con nuove regole e nuove strutture più adatte ai desiderata del “popolo” se non con la partecipazione, quindi con la “politica”?
    Mi sembra evidente che, dopo aver cercato, patito o permesso la violenza, il dolore, la distruzione e la morte, i più “illuminati” dovranno entrare sul “palco”, per costruire, per la “nuova” umanità, la “nuova” struttura, utilizzando ed esaltando i valori fino a poco prima (storicamente) soffocati e che si voleva affermare come fondativi di un nuovo equilibrio tra gli individui.
    Tu parli spesso, con varie espressioni, di “scoprire ed accogliere dentro di sé la propria natura spirituale” e so che non ti riferisci specificatamente a nessuna delle religioni tradizionali ma ad un bisogno interiore che ritengo altamente qualificante, specialmente quando è sincero come il tuo, anche se non lo considero indispensabile né all’esistenza in sé né per decidere il modo in cui si vive.
    Su questo farò un accenno in chiusura di questo mio intervento chiedendo solamente che quello sia un problema lasciato alla sfera della spiritualità dell’individuo e di trovare, comunque e assieme, soluzioni per il “corpo” che pure la contiene e la utilizza per il proprio equilibrio fisico e mentale.
    Per ora, invece di una maturazione spirituale, che per come la presenti sembra essere, invece, determinante e discriminante per l’elevazione dell’uomo, mi sembra più proficuo stimolare un “salto intellettuale” rivolto a tutti quelli che hanno i nostri stessi ideali, indicando obiettivi e bisogni “terreni” e tralasciando una spiritualità che per qualcuno è o inutile oppure, anche quando c’è, non viene considerata il vero e costante faro verso cui rivolgersi.
    Ho già utilizzato l’espressione “un salto intellettuale” in un commento ad un altro tuo scritto: LA COMUNE – UN NUOVO MODELLO SOCIALE.

    …………. Continua …………

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  16. Costruire il futuro
    ……..(6) continuazione……

    Vorrei riprendere larghi brani di quell’intervento perché ritengo che mi sarebbe difficile ritrovare argomenti diversi per spiegare gli stessi concetti.
    O forse sono soltanto pigro mentalmente, ma spero che mi perdonerai il largo uso che farò di quelle riflessioni.
    Vorrei premettere, ma solamente per ribadirlo, che rivolgersi alla e utilizzare la politica è il solo mezzo per avviare e costruire una “catarsi” non violenta, e, contemporaneamente, per essere pronti culturalmente non soltanto a gestire il transito verso una società migliore, ma anche il nuovo viaggio che quella società dovrà percorrere, qualunque sia stata la modalità di arrivo a quell’auspicabile cambiamento di rotta.
    Cioè, in poche parole: è inutile fuggire dalla politica; se vuoi che la tua società sia giusta e più vicina ai tuoi valori hai il dovere di controllarla e, se ne hai la forza e le capacità, devi contribuire a gestirla.
    Occorre pertanto compiere quel salto intellettuale per non ritrovarci a convogliare le proprie energie nella realizzazione di un sogno limitato e circoscritto a pochi (o “a di più”) illuminati, ma per proiettarci nella ricerca delle condizioni e dei meccanismi che permettano agli individui, a tutti o alla maggior parte di essi, di accedere a nuovi insegnamenti, a nuovi valori, a nuovi esempi di vita, a nuovi parametri con i quali misurare se stessi, la propria vita e quella altrui.
    Quella “ricerca”, però, ha un senso farla solamente se si comprende che se si è da soli occorre far in modo che altri si uniscano a noi, che se siamo pochi occorre diventare tanti e che tanti insieme hanno la possibilità di (almeno) tentare di incidere sulle strutture, ma sarebbe meglio dire “storture” della nostra società per (almeno) tentare di modificarne i meccanismi di formazione culturali.
    Può sembrare una “parolaccia”, ma non ne trovo una migliore o non vale la pena cercarla, ma svolgere quella “ricerca”, con quegli obiettivi, vuol dire “fare politica”.
    Lo so. Si dice che la “Politica” è una cosa sporca e forse, anzi certamente, lo è.
    Ma ci siamo mai chiesti se essa non sia tale solamente perché i “puliti” pretendono di starne fuori, senza accorgersi che in quel modo aiutano chi crea la sporcizia?
    Si dice spesso che siamo in “un mondo di merda”.
    Ma chi ce la mette? Sono responsabili solamente quelli che ce la mettono direttamente e con la pala o, in qualche modo, lo sono anche quelli che li guardano mentre lo fanno accontentandosi, quando va bene, di criticarli o limitandosi ad auspicare oasi, reali o mentali, nelle quali credere di essere migliori e protetti?
    Vediamo se riesco a spiegare cosa intendo quando parlo di “fare politica”.
    Per prima cosa, pur avendo opinioni che ritengo sufficientemente chiare per quanto riguarda la valutazione dell’attuale politica, non intendo il “fare politica“ come un invito ad utilizzare quella che attualmente conosciamo con le sue organizzazioni.
    A mio parere sarebbe già qualcosa, ma a ciascuno le proprie scelte.
    Per “fare politica” intendo qualcosa di più complesso e complicato, di più impegnativo culturalmente, di abitudini giornaliere a considerarsi individui “soggetti” e non “oggetti” delle scelte collettive.
    Questo non presuppone necessariamente “appartenenza” ad un gruppo o partito, ma attenzione quotidiana a quanto succede intorno a noi per impedire a chi è più potente e più organizzato, di dire, spesso, troppo spesso senza conseguenze, il contrario di quello che fa, o di essere tanto maggiormente preparato, magari con argomenti da ciarlatano, per dire e far credere che, come si dice tra il popolino “Cristo è morto dal sonno”.
    Ma per non essere ingannati quotidianamente occorre tenersi informati, ancora quotidianamente, e occorre saper mettere a confronto le nostre visioni della vita, della società e del rapporto tra gli individui, con quanto ci viene proposto, con quanto viene fatto, con quanto viene sostenuto giusto e imitabile, ancora, quotidianamente.

    ….continua….

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  17. Costruire il futuro
    ….. (7) continuazione ….

    Per essere così, però occorre essere diversi da come la società ci istruisce e ci organizza.
    Se gli individui nel loro insieme sono “contenti di comprare cose inutili o dannose”, e si potrebbe aggiungere: se non hanno più o hanno perso il senso dei valori veri sostituendoli con timori, paure, incompetenze, viltà, se gli individui preferiscono essere “furbi” anziché onesti, se scelgono di essere servi invece che padroni di se stessi, se favoriscono la prepotenza invece della solidarietà, e così via, vuol dire che sono stati “assemblati” in questo modo proprio da quella società che contestiamo, che ha trasmesso “esempi culturali” che portano quegli individui a perdere quella “coscienza di sé” che dovrebbe albergare in quell’”uomo” che prefiguriamo come protagonista di una società migliore e che dovrebbe essere parte costituente della coscienza collettiva.
    Siamo “noi” per come siamo allevati, istruiti, “costruiti”, in assenza di cultura, di valori, di insegnamenti, di riferimenti sani e creativi di personalità responsabili, sociali, solidali, umane e consapevoli del mondo che ci circonda e della sua importanza.
    E chi o “cosa” ci “costruisce” così?
    È questa società che non è in grado di dare “esempi” perché la sua classe dirigente, e per tale intendo non solamente i politici, ma anche i professori, i giornalisti e i professionisti in genere, cioè tutti quelli che possono concorrere alla formazione della moralità e della coscienza civile della comunità formando l’individuo fin dal suo affacciarsi alla vita scolastica e sociale, è talmente invischiata nel “potere” da produrre una pseudo cultura che crea questo tipo di persone.
    Quanti uomini pensi di attirare, con il tuo esempio, fino a portarli a comprendere e condividere i tuoi ideali, se per uno che ne potrai conquistare, mille, diecimila, centomila, verranno allevati e “costruiti” come è stato più sopra descritto? Se non fermi la “costruzione” di migliaia di “coscienze” sbagliate, modificando la “macchina” che le crea (scuola e società in senso più largo) cosa speri di ottenere con episodi, nobili quanto vuoi, ma che non incidono sulla reale possibilità di modificare la società?
    E qui ritorna quello che io intendo per “fare politica”.
    Per me questa espressione significa “essere presente” quotidianamente, con la propria mente e raziocinio per comprendere che è dalle scelte organizzative della società che nascono gli uomini e le donne di domani e che da quelle scelte dipenderà la loro struttura mentale e i valori che quella struttura conterrà.
    Per prima cosa, quindi, la scuola, per avere individui consapevoli del loro “valore” individuale e della loro “valenza” nella società (mi si perdoni il termine forse troppo “chimico” ma mi serve per indicare la necessità di un utile intreccio tra gli individui), poi l’attenzione quotidiana e la contestazione di tutto ciò che tende a far diventare “normale”, “lecito” o anche solamente “non illecito”, a far credere che sia morale, o anche solamente “non amorale” atteggiamenti che conducono per mano l’adulto già tale, ma anche e soprattutto l’adulto ancora in formazione, sulla strada dell’individuo che diventerà schiavo, non se ne accorgerà, ed anzi, crederà di raggiungere la sua vera dimensione “umana” solamente quando entrerà in possesso di un qualsiasi bene, magari addirittura inutile e dannoso.
    Senza una scuola capace di formare “l’Uomo sociale” e senza la capacità o la volontà di verificare ciò che ci succede intorno, confrontandolo con parametri realmente umani e “sociali”, non costruiremo quell’Uomo e dovremo sperare in fughe in avanti di pochi illuminati che saranno utili per indicare un punto di arrivo, che rimarrà incerto, e non utili ad indicare un punto di partenza valido per costruire qualcosa di universale e duraturo.
    Questa visione non pretende di inserire in essa gli attuali partiti o le attuali strutture più o meno politiche.

    … continua ….

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  18. Costruire il futuro
    ….. (8) continuazione…

    Se quelle esistenti non vanno bene, le persone “pulite”, nel senso che dicevo prima, che poi sono anche quelli che non vorrebbero avere alcuna responsabilità per la quantità di merda che c’è nel mondo, dovrebbero crearsene una, di struttura, o entrare in quella che ritengono sia più facile a migliorare nella direzione da loro desiderata, non obbligatoriamente “facendo vita politica” ma, almeno contribuendo a diffondere la consapevolezza che solamente con una vigilanza costante e informata si ha la possibilità non solo di impedire che i “furbi” freghino, non diciamo gli “scemi” ma, sicuramente, freghino quelli che involontariamente si dimostrano “ingenui”.
    A me sembra evidente che solamente unendo le forze di tutti i “puliti” in forme che magari occorre ancora inventare ma che presuppongono “appartenenza” alla società e non il suo abbandono, i “puliti” possano avere una ragionevole speranza, la certezza l’avranno solamente in rapporto al loro numero, per migliorarlo davvero, questo nostro mondo.
    A questo punto vorrei aggiungere ancora una riflessione.
    Se è vero che la nostra società è giustamente contestabile e perché no, condannabile, lo è anche perché a partecipare alla formazione degli organi decisionali non partecipano, spesso, o quasi mai, TUTTI i “Puliti”.
    Vorrei solamente richiamare l’attenzione sul fatto che nel momento i cui quegli organi decisionali vengono eletti, alla loro nomina partecipano sicuramente tutti quelli che hanno dei privilegi, decidendo poi di continuare a goderne fregando chi non è andato a votare e anche chi ha votato per loro, e non partecipano tutti quelli che da una società più “umana” e meglio controllata avrebbero solamente dei benefici.
    Sono gli “ingenui” che permettono ai “furbi” di governare e distorcere le nostre anime corrompendo valori ed aspirazioni.
    Perciò ben vengano le idee che sono alla base del desiderio di costruzione di una società migliore, ma quelle idee saranno veramente utili solamente se diventeranno un progetto da distribuire tra gli uomini indirizzandoli alla partecipazione della vita di tutta la società e non isolandosi.

    Mi sembra molto importante che tu concluda il tuo intervento nel nostro dibattito, affermando che siamo d’accordo nel ritenere che i nostri valori sono identici.
    Questo ci toglie dall’obbligo di dedicare energie, anche se solamente dialettiche, per sostenere obiettivi che riconosciamo siano per noi, scontati, concentrando il nostro impegno sulla ricerca di quello che riteniamo essere i “metodi” migliori per divulgare con maggior efficacia quei valori, difenderli e quindi ottenere una loro reale applicazione nella vita, sia quotidiana che di prospettiva, degli individui.
    Parlare di questo, invece che di inutili e improduttive contrapposizioni su una spiritualità che nessuno nega ma a cui ognuno ha il diritto di assegnare una diversa origine, un diverso significato e un diverso utilizzo, senza per questo sentirsi “giudicato” e sminuito nella sua possibilità di contribuire a costruire il mondo, renderà più agevole raggiungere una identità di vedute sui problemi “terreni” ed anche in quella direzione, ne sono certo, alla fine scopriremo che le diversità sono minori di quello che sembrano in partenza.
    Se il confronto sulla qualità e quantità dei valori diventa inutile rendendo più scorrevole la strada per un dialogo ed un confronto meglio indirizzato e “speso”, rimane, a mio avviso, ancora la necessità di rimuovere, dall’interno, o attorno, al nostro dibattito, un ultimo ostacolo che solo apparentemente può sembrare di poco conto.
    Abbastanza spesso ti richiami a concetti dove appaiono, quasi sempre in contemporanea, spiritualità ed esoterismo, rimproverandomi di non tenerli nella giusta considerazione nel mentre affrontiamo i problemi della vita nella sua origine e nel suo destino.
    Vorrei aggiungere alcune nuove considerazioni alle poche riflessioni che ho svolto più sopra.

    …. continua ….

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  19. Costruire il futuro

    Sai che sono ateo, e questo mio rapportarmi con il trascendentale, con qualsiasi formula lo si voglia declinare, mi consente di non preoccuparmi troppo se mescolo le varie credenze religiose o comunque fideistiche, considerandole tutte, senza voler essere irriguardoso verso nessuno, poco più che leggende, più o meno argomentate e sicuramente mai, da nessuno, dimostrate.
    In questo senso non mi interessa tanto capire quale tipo di “fede”, intesa come idea creduta e anch’essa non dimostrata e non dimostrabile, guida la tua anima e il tuo percorso sulla Terra.
    Mi interessa, nel mentre riconosco il tuo diritto a credere in ciò che vuoi e rispettando le tue convinzioni, riaffermare le mie che a mio parere, ma son certo che sei d’accordo, hanno pari dignità e sono degne di altrettanto rispetto.
    Ma se è vero che è così, e non può essere diversamente tra persone che nel rispettare gli altri assegnano un altissimo valore al rispetto che hanno di sé stesse, che senso ha fare una qualsiasi distinzione sulla visione che abbiamo circa quei valori che ambedue difendiamo, sulla base di quelle credenze o “non” credenze?
    Se vogliamo ambedue raggiungere “quegli obiettivi”, con volontà e fermezza, a che serve indicare anche quale deve essere il sottofondo “filosofico” dal quale partiamo?
    L’origine delle aspirazioni umane possono essere dentro una qualsiasi fede, e nel mondo ce ne sono migliaia, se le contassimo con le loro sfumature sono certo che potremmo arrivare a centinaia di migliaia, ognuna creduta come se fosse quella vera in assoluto, e, tra l’altro, nessuna di queste fedi, o quasi nessuna, ha mai impedito o impedisce che chi le professa, o le ha professate, si comporti, o si sia comportato, realmente dentro le regole che dichiarava, o dichiara, di rispettare.
    L’unica vera “fede” che ha protetto l’uomo dal diventare peggio degli animali, che non commettono mai violenza per il gusto di esercitarla, è la “coscienza”. E la stessa riflessione vale per tutti gli aspetti della vita collettiva dell’umanità a partire dal rispetto per il pianeta su cui viviamo.
    Se “sopra” “dentro” o “intorno” all’uomo che esercita “solamente” questa coscienza non c’è nulla di spirituale o di esoterico, nel senso che intendi tu, chi ti dice che egli non possa credere e volere le tue stesse cose con la tua stessa convinzione e determinazione?
    A me preme che gli uomini si ritrovino nella difesa di quei valori di cui parlavamo all’inizio; poi, se uno crede in Budda, in Manitou, nel Dio dei Cristiani o in quello degli ebrei o dei mussulmani, o ancora, se crede in nuove fedi svincolate dalle vecchie religioni, non me ne importa nulla.
    Non lo considero ne un handicap né un vantaggio.
    Mi interessa il risultato che gli uomini come me, che credono solamente alla propria coscienza, e gli uomini come te, che credono “anche” all’anima intesa non, o non solo, come “interiorità” umana, ma come manifestazione del trascendentale, possono raggiungere “prima” o “mentre” dialogano sull’”infinito”, in tutte le sue accezioni.
    Per salutarti ricordando l’argomento dal quale siamo partiti mi sembra chiaro che puoi sperare di far cessare le guerre, non chiedendo a uno, cento o mille eroi, e li chiamo così con tutto il rispetto e l’onore che quel vocabolo merita, di rinunciare o correre il rischio di rinunciare al lavoro e forse ad un sostentamento dignitoso.
    Spero di aver avuto argomenti sufficientemente validi per dimostrare che comunque, prima o poi, arriva il momento di impadronirsi e di gestire la società.
    E per farlo occorre proteggere, partecipare e controllare, certamente anche con severità, la politica.
    Quegli “eroi” sono inutili? A mio parere si se si limitano a sperare che basti l’esempio di qualcuno, per tanti che siano, per muovere il mondo.
    Sarebbero molto più utili se utilizzassero i loro ideali e i loro valori per organizzare gli uomini insegnando loro che la società può essere modificata e gestita in nome di ideali che, e non dovrebbe diventare una sorpresa, si scoprirebbe che sono più diffusi e desiderati di quanto sembri.

    Piergiorgio

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  20. LA MIA RISPOSTA:
    http://davideragozzini.blogspot.it/2012/10/la-politica-e-il-percorso-spirituale.html

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