Posteggiai l’auto sulla strada
perché nel vialetto, al mio posto, dietro a quella di mio marito, c’era
un’altra auto. Non la conoscevo. Alvise avrebbe potuto ricevere una visita da
qualcuno dei suoi amici o colleghi che ogni tanto riceve nel suo studio, dei
quali io conosco le auto di tutti, ma qualcuno di loro avrebbe potuto cambiarla
o venire a trovarci con un'altra. Magari l’auto di servizio di un’officina, o
magari l’auto di un parente o di un amico. Circostanza del tutto verosimile,
possibile, probabile e soprattutto …. sperabile.
Mi venivano tante congetture
nella mente per il semplice fatto che io sarei dovuta rientrare il giorno dopo.
Alvise ovviamente non lo sapeva. Semplicemente non lo avevo avvisato. Ero
sfinita. Il seminario mi aveva ridotto a striscioline piccole piccole, avevo
solo voglia di entrare in casa, togliermi le scarpe, fare una doccia e andare a
letto. Quindi, quando ormai ero di strada, avevo deciso di fargli una sorpresa.
Passai di fianco alla misteriosa macchina e mi diressi verso l’ingresso. Mi
soffermai qualche attimo ad osservarla: non sembrava il mezzo di una donna, era
sporca e in disordine e all’interno non vi era alcuna traccia di presenza
femminile. Ero un tantino sollevata dalla cosa. In tanti anni di matrimonio non
mi è mai passato per la testa di essere gelosa di lui. Addirittura qualche anno
fa, abbiamo passato un periodo nel quale ero quasi convinta che avesse
un’altra. Non so esattamente da quali segni riuscivo ad arrivare ad una simile
conclusione, forse solo uno spiccato intuito femminile, ad ogni modo mi imposi
di non fare e di non dire nulla. Soffrii in silenzio e mi aspettavo che se
fosse stato veramente così, avrebbe dovuto essere lui a dirmelo.
Fortunatamente, forse, quel periodo lo vide mostrarsi nei miei confronti ancora
più attento e carino e anche se mi dedicava meno tempo, quando stavamo insieme,
eravamo molto innamorati. Io ovviamente ero torturata da una miriade di
pensieri ma cercavo di non mostrarmi gelosa, anche se il suo comportamento
amorevole, in quelle circostanze, mi feriva ancora di più. Cercavo di non
mostrarmi troppo presente nella sua mente e gli ho dato il tempo di elaborare
quello che gli stava succedendo, qualunque cosa fosse. Certo, avevo fatto
domande, mi ero mostrata interessata al suo stato che alternava momenti di
nervosismo a momenti di affetto e in più spesso era fuori casa. In qualche modo
mi aveva comunicato il suo disagio e da qualche parte nei suoi occhi leggevo il
suo bisogno di avermi al suo fianco discreta e silenziosa. Non fu facile. Siamo
tanto innamorati, lo siamo sempre stati. Io confidavo in lui e lui confidava in
me. Se non mi parlava doveva esserci un motivo. Ne ero convinta. Lentamente
quel periodo passò e piano piano
riacquistammo la serenità. Ovviamente io non avevo dimenticato tutto
velocemente ma mi sforzavo di farlo perché ho sempre creduto a un’equazione
amorosa: il rapporto tra due persone è fatto di cose che si danno e di cose che
si ricevono, se questo scambio è appagante e non esistono comportamenti che “tolgono”,
il rapporto, a mio avviso è sano. Lo so che è difficile accettare un simile
concetto ma io l’ho fatto mio e in quell’occasione l’ho anche messo in pratica.
Alvise non mi ha tolto nulla in quel periodo, se non un po’ di tempo ma ha
continuato a darmi le cose a cui mi ha abituata, le cose che mi hanno fatto
innamorare di lui. Forse ha dato qualcosa a qualche altra persona ma di questo,
in qualche modo ne era turbato lui stesso. La presenza di un’altra persona
nella sua vita lo turbava. Riuscivo a interpretare dai suoi comportamenti che
lui stesso in qualche modo provava un disagio. Forse gli era capitata una
storia molto coinvolgente e si era trovato a fare una scelta. Alla fine, se
così stavano le cose, aveva scelto me e io mi sforzavo di vivere positivamente
il risultato piuttosto che farmi tormentare dalle immagini che cercavo di
scacciare che lo vedevano tra le braccia di un’altra donna.
Credo di essere stata brava, ma
non ci sono riuscita da sola, mi ha aiutato un’amica, che non condivideva per
nulla le mie posizioni. Anche se delicatamente, mi consigliava di prendere le
cose di petto, di spiarlo o farlo spiare, e di creare le condizione perché
tutto venisse alla luce e di fargliela pagare. Ma al di là delle sue idee,
comunque, mi stava a sentire e questo è stato importantissimo perché mi ha dato
modo di esternare tutte le mie emozioni.
Quella sera ero fuori
dall’ingresso e non sapevo cosa fare. Non sapevo come comportarmi. Normalmente,
quando rientro in casa, tiro fuori le chiavi apro la porta ed entro. Quella
sera ero parecchio nervosa. Iniziò a battermi forte il petto. Mi dicevo da sola
che stavo esagerando e non capivo come mai dovevo per forza avere dei sospetti.
Solo per il fatto che quell’auto non la conoscevo e il fatto che io in quel
momento non sarei dovuta essere a casa? In fondo bastava che entrassi per scoprire
subito cosa stava succedendo. E quello fu proprio il motivo che mi spingeva ad
esitare. Avevo paura di scoprire qualcosa. Avevo anche paura di invadere il suo
spazio. Lo so che è assurdo ma provavo anche questo. Mi era quasi venuto in
mente di chiamarlo al cellulare e avvisarlo che di lì a poco sarei rientrata.
Mi sarei allontanata e avrei cercato di vincere la paura, la curiosità e non
avrei voluto vedere niente.
Ma poi ho pensato che qualsiasi
cosa stava succedendo in casa nostra, avrei dovuto saperlo, in fondo era un mio
diritto e nell’agitazione mi ripromisi che comunque, nel caso avessi scoperto
qualcosa di molto doloroso, non avrei fatto scenate inutili e mi sarei comportata
dignitosamente. Inserii le chiavi, avevo una paura incredibile.
Entrai.
Dall’ingresso potevo vedere lo
studio. La porta era aperta e vedevo benissimo che dentro non c’era nessuno.
L’agitazione stava aumentando. Istintivamente iniziai a muovere i primi passi
cercando di non fare rumore. Mi tolsi le scarpe. In soggiorno e in cucina non
c’era nessuno. Ormai i miei sospetti iniziavano a trovare molte conferme.
Decisi di guardare nel giardino dietro casa se per caso ci fosse qualcuno, ma
se non avessi visto nessuno voleva dire che Alvise, se era in casa con un'altra persona, stava per
forza al piano di sopra, in camera da letto o nella camera degli ospiti.
Con il cuore in gola e
un’angoscia terribile salii le scale cercando di non fare rumore. Gli scalini
cigolavano e io per ridurre al minimo l’effetto del mio peso su di essi, salivo
rasentando il muro. Mi sentivo una ladra in casa mia. Odiavo comportarmi in
quel modo ma ero turbata tantissimo e stavo facendo l’unica cosa che istintivamente
mi veniva spontanea. In breve fui nel piccolo corridoio. La porta del bagno e
quella della camera degli ospiti erano chiuse. La porta di camera nostra era
semi aperta. Tesi l’orecchio e sperai di non udire nulla. In fondo poteva non
esserci proprio nessuno in tutta la casa. Poteva essere che mio marito con due
o più amici fossero andati a cena fuori e che le macchine di alcuni di loro,
compresa quella di Alvise fossero rimaste posteggiate nel vialetto e qualcuna
nella strada. Come mi sarei sentita scema a scoprirmi spiare qualcuno che non
c’era. Mi venne in mente solo in quel momento questa possibilità e vi ho
sperato davvero tanto ma proprio in quell’istante udii un sospiro. Fu
terribile. Mi prese un capogiro. Quasi non caddi. In quel momento trovai
fondamento a tutti i miei sospetti. Ormai ne ero sicura: in camera nostra Alvise
era in compagnia di un'altra donna. Mi prese uno sgomento terribile, una
mescolanza di emozioni, di pensieri , di paure si contendevano la mia mente.
Stavo per scoprire che mi tradiva e realizzavo
questo a qualche livello della mia coscienza. Cercai il coraggio e mi avvicinai
alla porta. Volevo vedere e allo stesso tempo non avrei mai voluto vedere.
Sapevo che stavo per vivere un trauma potentissimo. Avevo una paura lacerante. Ma
mai al mondo avrei potuto immaginare e sospettare quello che stavo per
scoprire. Quella visione fece scattare la mia muscolatura che per riflesso
diede un colpo alla porta che sbatté aprendosi completamente, contro il muro.
La prima cosa che feci fu di lanciare un urlo lancinante e mi misi a piangere
come credo di non aver mai pianto in vita mia. Alvise si stava facendo inculare
da un uomo nel nostro letto. E la cosa che mi colpì di più, in quel breve lasso
di tempo che intercorse tra aver visto la scena e la porta che sbatté, fu
l’espressione di godimento nel suo volto. Mi rimase impressa tanto da essere
tatuata nella mia mente per tutta la vita. Lo schock fu terribile per tutti e
tre. Rimanemmo immobili tutti per alcuni secondi. Nessuno riuscì a dire niente.
Io piangevo in uno scroscio potentissimo. Poi, improvvisamente mi venne da
fuggire. Non ricordo più nulla so solo che poco dopo mi ritrovavo in auto e
guidavo pericolosamente per le vie del mio quartiere. Una cosa sola ricordo: la
voce di Alvise che gridava il mio nome, mentre fuggivo, nella disperazione più
assoluta. Un grido disumano, credo che nemmeno un dolore atroce che porta alla
morte possa far urlare in quel modo. Più avanti realizzai che se a me era
caduto in frantumi tutto il mio mondo, a lui era successa esattamente la stessa
cosa, ma forse peggio perché in lui fu potentemente traumatica la nascita
improvvisa di un senso di colpa e forse ancor di più di vergogna.
Ma le vicende erano ancora molto
lontane dall’essere comprese ed elaborate. Nelle nostre vite era caduto un
meteorite capace di portare l’estinzione di tutte le certezze.
Io vagai per un tempo infinito,
indefinito. Nella mia borsa il cellulare suonava ma io quasi non lo sentivo.
Non so quante volte ho dovuto rischiare la vita prima di iniziare a calmarmi quel
tanto che bastasse per riuscire a fermarmi. Devo anche aver urtato contro
qualcosa, un auto posteggiata forse. Senza nessun motivo apparente mi fermai.
Mi trovavo nell’ampio spazio del parcheggio di un supermercato che a quell’ora
era vuoto. Forse fu proprio quella desolazione e lo spazio vuoto a indurmi a
fermarmi. Il cellulare continuava a squillare ma la mia mente seguitava a non
registrare quel suono.
Bussò alla porta ed entrò con un
vassoio sul quale fumava la mia colazione
“Ad un certo punto ho realizzato
che se non portavo la colazione qui, tu da quel letto non ti saresti mai mossa
per raggiungerla, e….. guardandoti mi sa che ci ho beccato. Masha? Non starai
ancora dormendo.”
Vera mi aveva ospitato la notte
passata, alle due del mattino. Ero piombata a casa sua scalza, consumata dal
pianto e in uno stato di semi incoscienza.
Le avevo raccontato tutto. Lei mi
aveva ascoltata poi mi ha messo in mano un pigiama, un asciugamano, mi ha detto
che potevo usare il suo spazzolino e poco dopo ci ritrovammo abbracciate nel
suo letto.
Mi coccolò per mezz’oretta, poi
poverina si addormentò. Io ci misi un po’ di più ma alla fine mi addormentai
anch’io. Al mattino non la sentii alzarsi. Nel momento che entrò in camera, io
ero sveglia da un po’ e fissavo un punto nel soffitto nel quale vedevo passare
una moltitudine di immagini. Avevo gli occhi gonfi ma non piangevo più. Anzi
sapevo che almeno quella fase era finita definitivamente.
Mentre bevevo il caffè e non la
smettevo più di ringraziarla mi spiegò che si era alzata alla solita ora, aveva
accompagnato Luce all’asilo e poi invece di andare al lavoro, era tornata a
casa da me. Poi vedendo che non mi alzavo mi aveva lasciato stare fino a
mezzogiorno.
“La bimba si è accorta di
qualcosa stanotte?” Mi informai.
“Ma no, lo sai come dorme.”
“Oh madre santissima, grazie al
cielo, chissà che spavento che poteva prendersi.”
“Sè, Luce? Quella ce la
ritrovavamo nel letto e ci obbligava a giocare con lei.”
Vera era separata da un paio
d’anni, che io sappia non per tradimento. Ha passato anche lei dei brutti
momenti, anzi non ne è ancora uscita del tutto. Il suo ex, il padre della
bimba, si è mostrato inaspettatamente un gran pezzo di merda. Se ne sentono
tante di storie simili.
Sotto la doccia pensavo agli
uomini. Alvise non era davvero un pezzo di merda, almeno non come l’ex di Vera.,
che tra l’altro non mi era mai piaciuto. Alvise invece con Vera è sempre stato
carino e lei mi diceva spesso che ero fortunata. Ora è cambiato tutto. Ora mi
diceva che è un pezzo di merda come tutti gli altri. Immagino che lo facesse
per consolarmi di ripetermi che un tradimento è un tradimento, sia che venga
consumato con una donna che con un uomo. “Con un uomo è solo un po’ più
esotico.” Aveva detto una sola volta. Si tratteneva un po’ ma vedevo
chiaramente che provava disgusto. Probabilmente ci andava giù dura perché
interpretava la mia fuga come una decisione definitiva e quindi dava manforte a
quelle che credeva essere le mie idee, le mie posizioni. Invece mi faceva
ancora più male. Ma lei non ne aveva davvero colpa. Io non mi sentivo in fuga.
Almeno non definitivamente. Nella confusione sapevo e capivo con chiarezza che
dovevo capire un sacco di cose, invece. Quindi ero tutto tranne che nella
condizione di prendere delle decisioni definitive. E poi col cazzo che un
tradimento con un uomo è uguale a quello con una donna. L’acqua della doccia
sembrava capace di portare via un po’ di nebbiolina. In fondo più ci pensavo e
più non mi sentivo tradita. Non almeno come se lo avessi sorpreso con una
donna. Una donna rappresenterebbe una rivale. Metterebbe in discussione la mia
femminilità, il mio ruolo di donna come compagna, come amante, come donna di
casa, come madre perfino: anche se ancora non avevamo figli, il mio desiderio
più grande nell’ultimo periodo era quello di avere un bimbo da lui. Se lo
avessi sorpreso con una donna, la prima cosa che avrei pensato è che non mi
avesse ritenuto più o forse ancor peggio mai, all’altezza di dargli un figlio.
Lo avrei pensato, ne sono sicura.
Ma allora cos’era che mi stava
facendo soffrire così tanto? Me lo chiesi mentre mi asciugavo i capelli.
La risposta in fondo era una
sola: non sapevo più chi era il mio uomo e questo era molto destabilizzante e
per qualche ragione lo era anche e soprattutto riguardo la mia identità.
Improvvisamente sentii il bisogno
di parlare con lui. La notte prima il telefono aveva squillato fino a rischiare
di sciogliersi. Poi erano arrivati alcuni messaggi. Non li avevo ancora
guardati.
Uscii dal bagno. Vera era davvero
molto premurosa.
“Vuoi che ti accompagni a casa a
prendere un po’ di cose? Lo sai che puoi fermarti qui per tutto il tempo che
vuoi, vero?”
“Grazie amore mio. In realtà
pensavo di andare da mia mamma, almeno ho la mia camera, capisci? Devo solo
trovare una storia da raccontarle, tanto più che una storia la devo inventare per
forza anche se non andassi da lei perché molto presto scoprirebbe che non sono
più a casa con Alvise. Non mi va di dirle la verità.”
“Dille che l’hai beccato con una
donna”
“No Vera, comprometterei un sacco
di cose, più di tutto la sua reputazione e poi non è la verità. Vedi? Io non so
ancora che decisioni prendere perché non so ancora cosa sta producendo dentro
di me tutta questa storia.”
Mi guardò sorpresa “Non vorrai
mica dargli un’altra possibilità?” Stavolta la guardai sorpresa io, sembrava
che avesse deciso per conto mio.
“Non lo so, probabilmente se
fosse stata una donna sarei qui a chiedermi se dargli un’altra possibilità o
meno ma il fatto che era un uomo…. Non so, capisci che devo capire?”
Fece uno sforzo per trattenersi.
“Mah! Secondo me peggio di così…scusa se te lo dico ma a me farebbe tanto e
solo schifo che non riuscirei più nemmeno a parlargli.”
Non le risposi, la guardai con un
grande punto interrogativo stampato sul volto. Lei forse lo interpretò come una
conferma di quello che mi aveva appena detto perché le lessi negli occhi una
sorta di compiacimento ma in realtà gli interrogativi erano ben altri, tanti e
anche diversi tra loro e sono sicura che in mezzo ce n’era uno che la
riguardava come amica nei miei confronti, ma non dissi niente. Cercai il
cellulare nella borsa.
“Te l’ho spento io ieri sera
perché continuavano ad arrivare messaggi.”
“Hai fatto bene, grazie.”
Mi prostrai in una serie di
ringraziamenti e poi le dissi che dovevo proprio andare. Mi fece promettere che,
qualsiasi cosa avessi bisogno, dovevo assolutamente chiamarla.
Dovevo essere proprio fuori di me
la sera prima: la mia macchina era aperta e avevo lasciato le chiavi inserite
al loro posto nel cruscotto. Madonna
santa, meno male che non se n’era accorto nessuno. Ci sarebbe mancato anche che
mi facevo rubare la macchina come un’idiota.
Non appena mi sedetti mi tolsi le
scarpe che mi aveva prestato Vera perché mi facevano già male. Eppure mi
sembrava che avessimo lo stesso numero. Ne avevo scelto un paio con i tacchi, così,
quasi senza pensarci perché vestita com’ero, con una gonna a tubino, una scarpa
bassa ci stava proprio male. Che forza pensai. Ero lì che non sapevo più
neppure io che donna ero, perché anche senza una rivale, scoprire che il tuo
uomo adora farsi inculare, è una cosa che un po’ di certezze le toglie anche
alla tua femminilità e lì in mezzo pensai alle scarpe. In quel momento non
sapevo bene attraverso quali dinamiche ma capivo che parte del mio trauma era
anche questo: la mia identità. Però se le scarpe non mi avessero fatto male non
vi avrei prestato attenzione a quel particolare. Cioè al fatto che in mezzo
alla confusione e alla sofferenza, così, senza pensarci troppo, ne avevo scelto un paio adatto a come ero
vestita e lo avevo fatto come lo avrei fatto in una situazione normale. Non so
spiegarmi bene ma lo ritenevo importante. Mi sembrava una piccola conferma.
Come se in quel piccolo particolare potessi trovare una risposta affermativa
alla domanda se io sono ancora una donna.
Accesi il telefono. Arrivarono
uno dietro l’altro decine di avvisi di
chiamate e di messaggi.
Alvise.
Lessi solo gli ultimi. ‘Amore dove sei? Rispondimi per favore sto
di merda e sto anche iniziando a preoccuparmi.’
‘ti prego rispondimi anche con
un sms ma fammi sapere che stai bene non so più cosa pensare’
‘se non mi rispondi chiamo la
polizia sono seriamente preoccupato’
Oddio poverino. Ma davvero non è
stato per cattiveria se non gli ho risposto. E chi connetteva più la sera prima?
Peraltro non ne avevo ancora letto uno, quindi non mi era venuto in mente che
poteva anche preoccuparsi. In effetti a pensarci bene…mi aveva visto sparire e
non sapeva più dove fossi finita..
Molto combattuta, perché un po’
ne avevo voglia ma un po’ mi spaventava, lo chiamai subito.
“Masha! Oddio Masha, dimmi che
stai bene.”
“Ciao Alvi. Sì sto bene, non mi è
successo niente. Alla fine sono venuta da Vera. Non avrai chiamato davvero la
polizia? Come mai non ti è venuto in mente di venire a vedere se ero qui?”
La mia voce tremava.
“Certo che mi è venuto in mente
infatti ho fatto avanti indietro tra casa di tua madre e casa di Vera un milione di volte, poi finalmente quando
ho visto la tua macchina posteggiata, mi sono tranquillizzato, però ho
continuato a mandarti messaggi sperando che mi rispondessi.”
“Ma scusa, se sapevi che ero qui
come mai non hai suonato al citofono?”
Fece una piccola pausa “Ti
avrebbe fatto piacere?”
“No davvero. Ero sulla luna e lo
sono ancora adesso.”
“E io lo sapevo e poi avrei
svegliato la bimba. In fondo se non mi stavi rispondendo voleva dire che non mi
volevi parlare e in più non ne avevo il coraggio. Quando ho visto che eri lì
ero tranquillo, però te l’ho detto, ho continuato a mandarti messaggi e speravo
che li leggessi e che avresti evitato di farmi chiamare la polizia , che mi
avessi dato quindi con questa scusa la possibilità di parlarti. Ma alla fine mi
sono fatto bastare il sapere che eri al sicuro.”
“Dove sei?” gli chiesi.
“A casa, dove vuoi che sono.”
“Hai mica chiamato mia mamma?”
Chiesi con una certa ansia.
“Certo che no.”
“Io non so bene cosa vengo a
fare, ma tanto prima o poi bisogna vederci.” Diedi per scontato che non avesse
nient’altro da fare e andai a casa.
Ero decisamente molto agitata. Ancora
non capivo certi meccanismi mentali che mi facevano quasi sentire in colpa. A
tratti mi sembrava di essere io quella che era stata sorpresa a letto con
un'altra donna. Affrontare Alvise con quello stato mentale, che era tutto
tranne che chiaro, non era di certo il massimo. Ma del resto non sapevo neppure
io che tipo di obbiettivo avevo. Una voce provava a convincermi che quello che
avrei dovuto fare era di liberarmi di lui. Perché quello che era successo era
immorale, perché un uomo è un uomo. Certo, ognuno è libero di fare quello che
vuole ma ci sono delle situazioni che dovrebbero stare dentro a certi schemi,
ma non per rigidità, solamente per assonanza, perché sono semplicemente
incompatibili con altre. Questo è quello che in fondo credevo io. In altre
parole ho sempre creduto che un uomo, che è un uomo, maschio, virile, che adora
le femmine, come vedevo Alvise prima della sera prima, non potesse mai e poi
mai arrivare a vivere una circostanza simile e in più a provarci un gusto così
evidente. Ecco dove in fondo mi sentivo tradita: io credevo che Alvise avesse
condiviso tutto con me e anche se non so come avrei reagito se un giorno
semplicemente me lo avesse detto, ora oltre al problema in sé, di accettare,
comprendere e capire una simile realtà, esisteva anche il fatto che lui mi
aveva tenuto nascosto una cosa che evidentemente non era proprio una
sciocchezza.
Mentre guidavo verso casa
rimuginavo tutto questo.
Mi chiesi se mi sentivo delusa. Entro
pochi minuti mi sarei trovata a faccia a faccia con lui e cercavo quindi di
elaborare in fretta le mie emozioni.
Eppure delusa non era la parola
giusta. Ma più ci pensavo e più intuivo che chiarezza l’avrei fatta una volta
che avessi parlato con lui, perché era lui che mi doveva spiegare se davvero si
poteva essere in due modi così diversi, opposti, in una persona sola. Oppure
doveva ammettere che con me aveva sempre finto e che in fondo gli piacciono gli
uomini. Magari lo aveva scoperto recentemente e questo avrebbe spiegato tutto.
Poi mi venne in mente quel periodo che avevamo passato tempo addietro quando
credevo che avesse un’altra. Mi si raggelò il sangue. Ne ero sicura, stava
anche allora vivendo una storia con un uomo. Ecco di cosa mi sentivo in colpa:
verso me stessa di non avere avuto la capacità di accorgermene. E lui, la sua
bella fetta di colpa o di responsabilità, stava nel fatto che mi ha fatto
credere per anni di essere un uomo e invece….. e chi lo sa cos’è.
Lo stavo odiando. Ecco: in quel
momento sentivo che la storia sarebbe finita, c’erano tutti i presupposti.
Se non altro avevo maturato una
rabbia, della quale ero cosciente, che mi aveva spinto da lui con una certa
energia e fierezza.
Quando piombai in casa lo trovai
fermo in piedi nel bel mezzo del soggiorno. Lo guardai. Lui forse capì e mi
spiegò che stava camminando avanti e indietro perché non sapeva cos’altro fare.
Come avevo previsto mi fece una
certa impressione vederlo. Io non so quanto si può capire quanto può essere
traumatica una situazione del genere.
Mi sedetti sul divano, lui un po’
più in là.
Lo fissavo ma non mi veniva
niente da dire. Iniziò lui e mi sa che da dire ne avesse tante.
“Masha, sono mortificato e mi
vergogno tantissimo.” Fece una pausa e mi osservò. Io non provavo niente.
“Non ho mai avuto il coraggio di
dirtelo, credo….credo di essere bisessuale.” Ecco, qui esplosi
“Ah tu credi? No, te lo dico io:
non so se bisessuale è la parola giusta ma qualunque cosa tu sei lo sei eccome.”
“Hai ragione, scusami. È vero, so
di esserlo e di questo non mi vergogno, non almeno verso me stesso. Mi sto
vergognando nei tuoi confronti sia di esserlo che soprattutto di non avertelo
mai detto. Capisco ora di averti in qualche modo tradito e non sai quanto mi
dispiace.” Lo lasciai continuare.
“Io spero di farti capire quanto
sto soffrendo ma non solo, di quanto ho sofferto per tutti questi anni, dei
conflitti interiori che ho vissuto, dei sensi di colpa nei tuoi confronti e di
quanto abbia vissuto costantemente nella paura di perderti, se te lo avessi
detto o se lo avessi scoperto da sola, come è successo. Un inferno Masha.”
“E io non mi sono mai accorta di niente.”
“Non ti sentire in colpa di
questo: sono stato io che mi sono fatto in quattro per non farti arrivare le
mie emozioni e le mie paure.”
“Non è sufficiente, avrei dovuto
accorgermene lo stesso. Una donna se ne accorge, in un modo o nell’altro.”
“Ma non è vero. In fondo eravamo
felici, noi due. Ti bastava. Io non ti facevo vedere niente dei miei turbamenti
e quindi chi te lo avrebbe fatto fare di andare a scovare qualcosa che in fondo
forse, ci avrebbe fatto soffrire inutilmente.”
“E qui ti sbagli di grosso caro
mio. Ti sei arrogato il diritto di decidere per tutti e due e questa cosa,
invece, la ritengo gravissima. Una coppia, almeno la coppia che credevo di
essere con te, condivide tutto. Ma il problema è a monte: tu mi hai fatto
credere di essere una persona e invece sei un altro…” Mi interruppe
“No Masha, ti sbagli, non sono un
altro, ti solo omesso una parte di me ma quello che hai sempre visto sono io”
“Mavaffanculo. È la stessa cosa
cazzo! Avrei dovuto saperlo. Ne avevi il diritto perché infatti è probabile che
non avrei fatto le stesse scelte con te. È probabile che non mi sarei nemmeno innamorata
conoscendoti per intero e non è un pregiudizio, ok? È solo una mia
personalissima idea o chiamalo gusto o aspettativa di COME DEVE ESSERE IL MIO
UOMO!!!”
Stavolta rimase in silenzio lui.
Io mi pettinai con le mani per
alcuni istanti, con fare nervoso. Poi continuai
“Dimmi la verità: hai sempre
finto con me? Ormai me lo puoi dire anche se non capisco il perché”
“Ma no. Io non ho mai finto con
te. Sto provando a spiegartelo: dentro di me coesistono due mondi che
apparentemente sono molto diversi tra loro. Ma lo sono per chi non ha la
possibilità di viverli e di capirli perché per persone come me è normale
invece. Se non ci sentiamo normali è solo perché non veniamo capiti e subiamo le
conseguenze dei pregiudizi, anche se non direttamente, perché le nostre
esperienze le viviamo con discrezione però il pregiudizio è sempre
costantemente nell’aria. La società non contempla che un uomo normale se ne
esca un mattino di casa e dica a tutti quanti che vive anche un altro tipo di
sessualità, non verrebbe capito verrebbe minimo preso in giro.”
“Perché infatti forse non è
normale, non ci hai pensato? Solo perché a te sembra di essere normale non
significa che lo sei. Non credi?”
“Sì, può essere e infatti è per
questo che in fondo mi sento anche in colpa quando metto in relazione questo
mio aspetto con il resto del mondo. Ma ti assicuro che di per sé non mi crea
nessun problema. Ma questi argomenti non sono proprio il centro di quello che
dovremmo parlare io e te o almeno non ora. Credo che dovremmo parlare di noi
due. Di cosa stai provando tu, vorrei dirti cosa sto provando io, di cosa ci
produrrà all’interno di noi stessi questa vicenda.”
Feci un sospiro. Veramente non
sapevo che dire. Infatti glielo dissi
“Alvi, io non so proprio cosa
dire. Credo che mi ci voglia un sacco di tempo per capire. Forse sono già
fortunata del fatto che almeno so che devo capire tanto non solo di te e di
quello che è successo o meglio che ho visto, ma anche di me, e che quello che
devo capire di te mi serve solo in funzione di quello che devo capire di me
perché non so come mai ma sono andata in crisi io come persona, come donna. Mi
manca il terreno sotto i piedi e questo, mi rendo conto, è un problema mio.”
“Certi traumi possono portare
alla luce aspetti o blocchi che erano sepolti da tempo. Alla fine diventa
positivo perché diventa un’occasione per crescere.”
“Quindi alla fine ti devo anche
ringraziare.” Con questo sarcasmo mi venne spontaneo di alzarmi.
“Ascolta Alvise, devo andare ad
organizzare la mia vita. Non sai che casino ne verrà fuori. Dovrò andare da mia
mamma e non so proprio cosa raccontarle. Prendo un po’ di cose e vado ad
affrontarla.” Ovviamente diedi per scontato che lui si aspettasse, minimo, che
da quella casa io ne sarei uscita, invece mi sbagliavo.
“Masha, guarda che non devi per
forza andare via. Anzi credo che sia uno sbaglio, se dobbiamo parlare, confrontarci
potrebbe essere meglio stare insieme, non credi?”
Ero già a metà della scala, mi
girai di scatto “Io non ci posso più stare qua dentro, come fai a non capirlo.
Questa era un’occasione per tirare fuori un po’ della tua sensibilità
femminile, ammesso che tu ce l’abbia.” Ci andai giù pesante. Me ne accorsi
subito. Poverino, ci rimase davvero tanto male. Mi accorsi di quanta rabbia
avevo dentro. Ma non ferii solo lui, ferii anche me stessa, perché mi fece
pena, sì proprio pena. Mi misi nei suoi panni. Sentirsi dire dalla sua compagna
una frase simile deve essere stato terribile. Infatti si soffermò solo un
attimo nei miei occhi, come se seguisse solo l’eco di quello che avevo appena
detto e poi senza dire niente si voltò e se ne andò, ma se ne andò piano, una
lentezza che non era tanto in relazione a me cioè alla cosa da cui si stava
allontanando, ma era in relazione, ne sono sicura, alla realtà a cui stava
andando incontro. Una realtà nella quale si sarebbe presto sentito molto solo.
In macchina scoppiai a piangere.
E io che credevo che quella fase fosse finita. Col cazzo. Intuivo che fasi che
mi avrebbero fatto piangere se ne sarebbero presentate molte altre. Mi sfogai
un po’ per poter essere meno tesa nell’affrontare mia mamma.
Il problema di mia mamma, non era
tanto mia mamma. Coma al solito il problema era il mio: non volevo farla
soffrire e non volevo dirle la verità per rispetto di Alvise ma al contempo
dovevo trovare una storiella, per nulla grave, che tenesse in piedi il fatto
che comunque ero venuta via di casa. Mi accorsi che in questo modo stavo proteggendo
mio marito. Lei non avrebbe capito e lo avrebbe subito giudicato e
probabilmente lo avrebbe anche cancellato dalla sua vita, reo di aver portato
uno scandalo terribile nella nostra famiglia. La conoscevo fin troppo bene. Da
qualche parte dentro di me sapevo che stavo ancora amando Alvise. Non sapevo
altro, compreso se e quando saremmo potuti tornare insieme, anzi in quel
frangente la ritenevo una cosa poco probabile, ma appunto non impossibile, per
cui dovevo stare attenta a divulgare informazioni in giro, soprattutto su di un
argomento così delicato che avrebbe potuto compromettere la sua reputazione. Mi
ero un po’ pentita di averlo detto a Vera ma sentivo che a qualcuno avevo dovuto
dirlo per forza, per me e per la mia salute. Speravo di potermi fidare di lei,
sapevo che forse non avrebbe capito ma da lì a sputtanare forse la sua etica
avrebbe fatto la differenza. Però si rivelò anche un’opportunità averglielo
detto: mi si era rivelata un po’ troppo stronza e questa rivelazione avrebbe
sicuramente influito sul nostro rapporto. E quindi benvenga tutto ciò che mette
in luce aspetti sgradevoli delle persone.
Bussai alla porta con i piedi
perché avevo le mani e le braccia un tantino cariche di borse.
L’avevo avvisata al telefono che
sarei arrivata e che sarei stata da lei qualche giorno. Le avevo fatto
promettere di non preoccuparsi, che non era assolutamente niente di grave e che
non appena a casa le avrei spiegato tutto.
Ovviamente lei mi stava
aspettando con l’ansia proporzionata ad una tragedia. In casa tentai di
prendere ancora tempo attraverso le azioni e i movimenti che stavo facendo per
poggiare la mia roba e per sistemarla
sul mio vecchio letto, sulla mia vecchia poltrona. Lei mi seguiva con i suoi
passi lunghi e la sua andatura che mostravano il suo antico carattere fiero e
impiedistallito. Nel tragitto tra l’ingresso e la mia camera aveva già posto
una decina di domande. Io cambiavo discorso e lo dirottavo su quello che stavo
facendo. Aprii il mio vecchio armadio e contemplai qualche attimo quello che
rimaneva dei miei antichi vestiti. Quant’era che non aprivo quell’armadio e che
effetto strano che mi fecero quei vestiti. Quando stavo là dentro mi sembrava
tutto più facile. E che angoscia che mi prese all’improvviso. Mia madre
continuava ad incalzare proprio in un momento che avrei desiderato il silenzio.
Mi voltai e l’affrontai
“Mamma, non è successo niente di
grave, abbiamo colto l’occasione di una discussione sulla quale non siamo
esattamente d’accordo per prenderci un po’ di respiro. Tutto qui, davvero. Ti
prego di crederci e ti prego di non fare domande.” Uh. La colpì la mia
sicurezza. Caspita. Non c’era abituata immagino. In effetti non le avevo mai
parlato così.
“Certo certo. Hai ragione sono
cose vostre. Mi basta sapere che stai bene e che sei tranquilla. Se me ne
vorrai parlare ne sarei contenta. Qui sei a casa tua, come sempre e sappi che
ti voglio sempre un gran bene.” Si avvicinò e mi diede un bacio. Io
l’abbracciai
“Grazie mamma.” Stavo per
aggiungere che avevo bisogno di stare un po’ da sola ma poi realizzai che non
dovevo mostrarmi troppo affranta e depressa altrimenti non avrebbe più creduto
che la cosa era una crisi di poco conto. Questo mi pose il problema che di lì
in poi avrei dovuto costantemente sforzarmi di recitare la parte della tipa
tranquilla e improvvisamente capii che la difficoltà della situazione era
notevole, ma del resto non avevo scelta. Lei, poverina, capì da sola che avevo
bisogno del mio spazio. Mi chiese se avevo fame e poi mi lasciò alle mie cose.
Non avevo mai avuto un ottimo
rapporto con lei. Sicuramente mi ha voluto un gran bene ma soprattutto quando
ero ragazzina abbiamo avuto moltissimi
scontri.
In quel momento speravo di
riuscire a creare le condizioni per una convivenza serena, perché sapevo che
sarei stata in quella casa a lungo, questo è quello che sentivo dentro di me.
Una volta rimasta sola, credetti
di potermi godere la mia privacy e di avere quindi la possibilità di riflettere
con calma e di iniziare soprattutto a tirare le fila di quello che stava
succedendo. La mia vecchia cameretta mi dava un senso di…non so spiegarlo bene,
come di ‘stretto’, di qualcosa che mi stringeva intorno alla vita e alle gambe.
Non ero esattamente a mio agio anche se ero nel luogo che più di tutti mi era
famigliare, dove avevo trascorso la maggior parte della mia vita. Avevo anche
perso la verginità su quel letto. Sentivo che prima di tutto avevo bisogno di
riposare. Non ero sicura di riuscirci ma mi distesi e ci provai. La possibilità
di godere del mio spazio, improvvisamente si trasformò in una paura terribile.
Riscoppiai a piangere un’altra volta. Mi sentii sola e ricalcando il famoso
connubio, anche abbandonata. Ma abbandonata da chi? da Alvise? Ma non ero stata
io ad andarmene? Forse non mi aveva abbandonata quel giorno e forse nemmeno il
giorno prima quando lo sorpresi in quella performance. Ma allora quando? Forse
quando, tutte le volte che avrebbe potuto, aveva scelto di non mostrarsi per
quello che era. Forse ad abbandonarmi sono stata io stessa, che in qualche
momento della mia vita non ho colto l’attimo nel quale avrei potuto evitare
tutto questo. Cos’era che mi pesava di più? Essere colpita, come una doccia
fredda, da una realtà inaspettata e impensabile che toglie o sospende la stima
alla persona sulla quale pende, o aver sovrastimato una persona o una
situazione che mi faceva da nido sulla quale avevo basato tutte le mie
certezze? La cosa ironica era che queste domande me le stava ponendo Fusahira, il mio orsetto samurai. O almeno cosi mi sembrava
dopo che me lo ero portato al petto mentre stavo piangendo.
Il pomeriggio
stava per finire. Non avevo ancora pranzato e non mi andava neanche di cenare
ma non ci provai neppure a dire una cosa simile a mia mamma, l’unica cosa che
potevo fare era di tentare di mangiare in camera, magari prometterle che poi
avrei lavato i piatti io.
Dopo
un’interminabile discussione ottenni il permesso di mangiare in camera.
Me ne stavo
sdraiata a letto, accesi la tv ma tenni il volume a zero. Erano anni che la
usavo come abat jour. Impiegai un sacco di tempo per finire di mangiare,
oltretutto mia mamma non cucinava neanche bene. Poi posai il piatto sul
pavimento e mi guardai intorno. Nel piano inferiore del comodino c’erano
ancora, impilati, una dozzina di libri. Metà alla volta li presi tutti e me li
misi vicino, nel letto. Mi tirai un po’ su con i cuscini e rispolverai le mie
vecchie letture. C’era di tutto, saggistica, narrativa, poesie. Me li ricordavo
tutti. Erano alcuni dei libri della mia adolescenza che non avevo portato con
me nella casa nuova dove avevo vissuto con Alvise. Certo, ce n’erano altri,
alcuni nella libreria sopra la scrivania e altri erano in soggiorno. L’unica
cosa che non ricordavo era come mai quelli lì stavano sotto il comodino. Non
era perché erano gli ultimi che avevo letto, Moby Dick lo avevo letto da
bambina. Poi improvvisamente ricordai tutto. Fu un titolo a svelare il mistero:
“Il delta di venere” Anais Nin. Omioddio, fu come un portale. Mi ritrovai
contemporaneamente in più dimensioni. Quella predominante fu il ricordo di mio
padre. Me lo regalò lui quel libro e subito dopo la copertina c’era la sua
dedica. ‘Per la mia piccola Masha, che
tanto piccola non è più, perché viva con gioia l’esplosione dei sensi’. Mi
rimisi a piangere. Che strano, una parte di me era come se dicesse a
quell’altra: stavolta sì, che ne vale la pena di piangere. Ma ancora più strano
era che ero straconvinta che il libro fosse tra quelli che mi ero portata a
casa mia. Ricordo che l’avevo tenuto lì
sotto quando ancora vivevo in quella casa, nascosto tra gli altri, perché mia
mamma non lo vedesse, ma quella pila ero convinta di averla disfatta molto
tempo prima che mi trasferissi a vivere con Alvise.
Dovetti
obbligarmi a smettere di pensarci perché davvero non ne stavo più uscendo.
Mio padre. Morì
circa un mese dopo. Lo sapevo bene: sotto la dedica c’era la data del giorno
che me lo regalò e la data in cui ci lasciò, non la dimenticherò mai. Quando
morì avevo sedici anni.
Sarà stata la
situazione, sarà stato perché mi trovavo nella mia cameretta e sarà anche stato
che stringevo al petto quel capolavoro di erotismo che strinsi alla stessa
maniera il giorno che morì, non lo so, ma mi risalì completamente il boccone
amaro e mi ritrovai a sentire la sua mancanza, forse come non l’avevo mai
sentita ancora fino ad oggi. Mio padre. L’unica perdita che ho avuto e l’unica
che sarà per sempre da me considerata la più grave e la più dolorosa. Se
dovessi spiegare a qualcuno il motivo del mio legame fortissimo con lui, di
come è cresciuto e di come mi sono sempre sentita amata, compresa e rispettata,
bè, gli mostrerei proprio quel libro e gli direi: mi ha regalato questo libro,
capisci? Un padre che regala alla figlia adolescente un libro di letteratura
erotica e le spiega che per una donna avere dignità non significa mostrarsi una
‘santa’ ma significa saper amare sempre solo e soltanto quando è amore, anche
se fosse per una notte soltanto. Un uomo che conosceva i diritti delle donne e
che sognava un mondo dove potessero essere libere di amare, esattamente come
gli uomini, perché, mi diceva, una notte di sesso, in un squallido posteggio,
dove i due amanti sanno darsi il piacere del calore umano, quella notte
contiene qualcosa che in un tempo non lontano sarà considerato l’opposto della
guerra. E tu piccola mia, impara ad amare e spargilo nel mondo il più possibile
il tuo amore e spiega a questi maschi che è meglio stare tra le braccia di una
donna che le apre per poterle stringere di nuovo, che abbracciare un fucile. E
poi quando sentirai di amare come non mai, abbi il coraggio di chiedergli di
fermarsi con te, perché lui sarà l’uomo giusto, e tu lo saprai perché avrai
imparato ad amare.
Quanto si può
piangere con questi ricordi? Quanto si può piangere nella consapevolezza che
aveva ragione ma che non si è mai avuto il coraggio di essere così fino in
fondo. Ma papà, se al mondo c’è la guerra non è colpa mia, non del tutto
almeno. E l’ho anche scelto l’uomo giusto perché lo sento nelle viscere che lui
è quello giusto, ma ti prego rispondimi, come può essere giusto a metà???
Piombai in un
vuoto buio senza emozioni dal quale ne uscii il mattino dopo.
Con Vera non
potevo parlare, con mia mamma nemmeno. Capivo quanto ero sola.
Non so ancora adesso
se è stata suggestione o cosa. Quella notte sognai mio padre. Stavamo Facendo
una passeggiata nel bosco, come eravamo soliti fare. Io ero una bambina.
Raccoglievamo legnetti secchi per accendere il fuoco nella vecchia stufa della
casa della nonna. Quando ero piccola facevamo spesso passeggiate nel bosco. Ad
un certo punto, nel sogno, attraverso il bosco ci venne in contro un’anziana
signora. Sembrava che lui la conoscesse. Si salutarono poi questa si abbassò su
di me e mi chiese:
Ti piace il
bosco?
Io la guardavo
con gli occhioni spalancati e annuii, poi continuò
Sai, è tanto
grande e c’è pieno di vita, ci sono tantissimi animali anche se tu non li
vedi e sono molto diversi tra loro ma
tutti vivono qui, nel bosco.
Mio padre salutò
la vecchia e la ringraziò, poi mi prese in braccio e disse:
Ora dobbiamo
tornare a casa.
Mi svegliai.
La prima cosa
che feci, anche se con un certo orrore, fu di provare ad immaginare mio padre a
letto con un uomo. Distolsi subito quel
pensiero, mi sembrava di arrecargli un’offesa brutale. Mi dava fastidio anche
solo immaginarlo a letto con mia madre figuriamoci con un uomo. A pensarci bene
di lui avevo un’idea…. quasi angelica, come se fosse asessuato, anche se ai
miei occhi sembrava un vero uomo. A quell’epoca ovviamente non mi rendevo conto
dell’esistenza della dimensione sessuale e non avevo un’idea chiara di cosa
volesse dire essere un vero uomo, ma se non lo avevo mai immaginato a letto con
una donna meno che mai avrei avuto la fantasia di immaginarlo con un uomo. Ero semplicemente
impossibilitata ad immaginare mio padre a letto con un uomo. Ma oggi non è così
e per quanto ne so avrebbe potuto anche provarci gusto. Lo deduco perché ancora
oggi non riesco a immaginarlo fare l’ amore con nessuno, nemmeno con una donna
quindi potrebbe essere possibile tutto. Il
fatto che morì che ancora non ero adulta
e che i ricordi più marcati, quelli più belli, sono di quando ero bimba, non mi
dà una percezione della realtà completa sul suo conto, lo vedo e lo vedrò
sempre come il mio meraviglioso papà attraverso gli occhi innocenti di una
bambina. Se n’è andato proprio quando stavano per risvegliarsi in me le prime
pulsioni erotiche e con quel libro credo che lui mi abbia voluto lasciare
qualcosa su cui riflettere, come se lo sapesse che stava per lasciarmi. Capisco
che anche lui avrà avuto la sua sessualità e le sue fantasie e forse avrebbe
voluto parlarmi di più di questi argomenti ma non ha fatto in tempo.
Ad ogni modo
sentivo il bisogno di immaginarlo a letto con un uomo, non so perché. Se il mio
uomo, Alvise, poteva andare a letto con uomo, perché non avrebbe potuto esserci
andato anche mio padre? Che idea avrei di mio padre se improvvisamente
scoprissi che quando era vivo andava a letto con un uomo? Lo amerei di meno?
Certo che no. Mio padre sarà sempre l’amore della mia vita. Il mio eroe. Mi
farebbe male, ma tanto che ne potrei morire, venire a sapere che lontano da me
avrebbe potuto fare del male a qualcuno. Questo sì, mi ucciderebbe. Se
scoprissi che in vita avrebbe potuto amare un uomo, beh, ammetto che mi
lascerebbe profondi interrogativi…. ma in fondo….
Amare un uomo.
Chissà se Alvise
amava quell’uomo. Non ci avevo ancora pensato.
Non so nemmeno
se a me farebbe qualche differenza.
Quel sogno
comunque non mi dava pace. Come mai lo avevo fatto? Come mai avevo sognato mio
padre? E la vecchia? Che relazione c’era tra lui, lei e il bosco? Ma
soprattutto, che relazione c’era nella mia testa tra Alvise e mio padre?
Ma ancora più
straordinario: come mai sentivo che esisteva una relazione tra quello che stavo
vivendo e il sogno?
Il mattino dopo
mi ero buttata fuori di casa per andare al lavoro. Non ero ancora rientrata, mi
ero data per malata. Ad un incrocio mi tagliò la strada l’auto che stava nel
vialetto di casa nostra il giorno che ho beccato Alvise in quella squallida
performance. Era facile riconoscerla: era un modello vecchissimo di un grigio
perla sbiadito. Il riflesso del sole sui vetri non mi permise di vedere chi la
guidava. D’istinto decisi a corrergli dietro. Fanculo il lavoro. Chissà come
mai davo per certo che fosse lui. Non riuscivo proprio ad immaginare che tipo
di uomo fosse. Certo, lo avevo visto, ma solo per pochi secondi e sinceramente
non me lo ricordavo nemmeno più. Ho sempre pensato che i gay fossero…. gay, sì
insomma checche, effeminati, con quegli atteggiamenti classici e quel loro modo
di parlare. Ma quell’uomo stava
inculando mio marito e per questo, d’istinto, non mi veniva di immaginarlo
esattamente una checca. Io non avevo mai pensato a questi particolari ma a
grandi linee credevo che quello che si fa inculare sia checca, almeno più di
quell’altro….almeno nel modo di atteggiarsi. Cioè, ero convinta che a prenderlo
nel culo fossero solo le checche effeminate ma Alvise è tutt’altro, sprigiona
virilità in ogni istante. A pensarci bene anche questo aspetto mi
destabilizzava. Ero proprio curiosa di vederlo bene. Dopo varie svolte si fermò
improvvisamente e lasciò l’auto in seconda fila. Scese, andò davanti ad un
portone e suonò un campanello. Non so nemmeno io se lo odiavo, se mi ripugnava
o cosa, ma era veramente un bel tipo e ora ero sicura che fosse lui, lo avevo
riconosciuto. Poco dopo sbucò fuori un
bimbetto con la cartella sulle spalle. Rimasi impietrita. Il tipo tirò su
bimbetto e tutto e se lo baciò con grande affetto, poi lo fece salire in auto.
Suo figlio?
Lo accompagnò a
scuola e prima di lasciarlo al cancello gli fece un sacco di discorsi. Lo amava
tantissimo, ne sono certa, l’ho visto, l’ho percepito, l’ho sentito.
Mi venne il
dubbio che non fosse l’amante di mio
marito ma non poteva essere che lui. Pensai a suo figlio: sapessi cosa fa tuo
padre…..
Dovevo
parlargli, dovevo conoscerlo ma senza che sapesse che sapevo perché volevo
vedere se anche lui aveva una doppia vita come Alvise, se era così, avrei
potuto valutare la cosa da un punto di vista più oggettivo e non pensare a cose
bruttissime su Alvise, come stavo facendo.. Chissà se lui mi avrebbe
riconosciuta. Probabilmente no, anche lui mi aveva visto solo per pochi secondi
e sicuramente con i lineamenti sconvolti comunque mi ripromisi di cambiare
taglio dei capelli, ci avevo già pensato perché dopo il trauma ho sentito il bisogno di cambiare qualcosa.
Gli andai dietro
ancora, dovevo scoprire dove abitava o dove lavorava e poi mi sarei inventata
qualcosa. Lo seguii fino fuori città, in una zona industriale. Avevo scoperto
dove lavorava: lo vidi parlare con i suoi colleghi o forse con i suoi operai.
Da quel che avevo capito poteva essere una specie di geometra o architetto.
Pensai che poteva bastare. Andai subito dalla mia parrucchiera e passai la
mattinata a prepararmi. Sarei tornata in quel luogo verso l’ora di pranzo e
avrei improvvisato qualcosa.
Mi tirai a
lucido. Avevo scelto un look elegante, sobrio e non troppo vistoso. Ben sapendo
che gli piacevano gli uomini molto probabilmente non
gli piacevano le donne quindi pensai di presentarmi elegante ma semplice, come
piace a me. Sì, avevo intenzione di sedurlo. Lo realizzai mentre mi preparavo.
Pensai tanto su che tipo di donna potesse attrarlo, ammesso che potesse essere anche
attratto da una donna ma il mio istinto mi suggeriva di sì, lo vedevo da come
camminava. Era maschio.
Il mio nuovo
taglio di capelli mi piaceva e scelsi con cura le scarpe.
Poco prima dell’ora
di pranzo ero sotto il suo ufficio. La sua auto era ancora là al solito posto
del mattino.
Non avevo la
minima idea di cosa avrei fatto. Aspettai ancora un’ora almeno…ero decisa a
stare lì fino a sera se fosse stato necessario. Intanto mi arrivavano messaggi da
Alvise e mia mamma mi aveva già chiamata due volte. Risposi solo a lei per
evitare di metterla in ansia.
Alvise era il
motivo per il quale stavo facendo tutto quello
e credevo che avrei scoperto molto sul suo conto attraverso quell’uomo,
anzi, ne ero sicura, dovevo solo entrare nel suo letto.
Poco dopo
finalmente arrivò. Solo e senza guardarsi intorno salì in auto e uscì dal
parcheggio.
Io che non avevo
un piano preciso stavo rischiando di perdere l’occasione e allora pazza e
istintiva come sono, appena uscì dal suo posto feci la stessa cosa anch’io e
siccome le nostre auto erano muso a muso lo urtai deliberatamente fingendo di
non averlo visto.
Crash.
Lui uscì subito
e iniziò ad insultarmi.
Io aspettai un
attimo in più prima di scendere e lo feci con calma. Appena mi vide in piedi
davanti a lui credo che qualcosa sia cambiato nel suo sguardo. Rimase comunque
molto irritato ancora per qualche attimo.
“Scusami
davvero, proprio non ti ho visto. Ora ci scambiamo i dati e farò la denuncia.
In fondo guarda, è solo un fanalino.”
“Della macchina
non mi interessa niente, devo andare a prendere mio figlio a scuola e non posso
perdere tempo. Lasciami il tuo numero che ti chiamo più tardi se decido di
rimetterla a posto.”
Avevo fatto
cilecca. Ovviamente dell’auto non gliene importava nulla ma del figlio
certamente sì.
Gli diedi il mio
numero e aggiunsi
“Spero di non
averti mandato all’aria i tuoi impegni. Se decidi di non aggiustarla chiamami
lo stesso, come minimo ti offro un caffè.”
Mi stupii io
stessa della mia audacia e prontezza di riflessi. Lui era già li che sgommava e
dal finestrino mi schiacciò l’occhio.
La mia vita si
era fermata all’improvviso…
Ecco, non lo
avevo ancora focalizzato bene. Decisi di dare importanza a questa rivelazione.
Pretesi da me
stessa di riuscire ad accettarlo. Altrimenti a cosa erano serviti tutti quei
libri sull’autostima, sull’amore incondizionato e sul fatto che se ti succede
qualcosa o è responsabilità tua o comunque ti sta succedendo perché devi
imparare qualcosa.
Da un giorno
all’altro mi ritrovavo a vivere con mia mamma e l’uomo che amavo, di cui mi ero
presa cura negli ultimi anni e di cui credevo di conoscere ogni minima
emozione, improvvisamente era lontano anni luce.
Anche il lavoro
non mi interessava più. Qualcuno aveva il telecomando e aveva pigiato lo stop,
o bene che stava andando, la pausa.
Alla sera di
quella giornata, chiusa nella mia vecchia cameretta, diritto conquistato dopo
innumerevoli spiegazioni a mia madre, tiravo le fila e mi facevo schifo di aver
pensato di poter andare a letto con quell’uomo.
Ma cosa volevo
ottenere? Forse volevo solo vendicarmi. O forse volevo pareggiare i conti: se
ci vado anch’io a letto con quello e se magari mi faccio inculare anch’io,
siamo pari e si può ricominciare tutto daccapo.
No.
Le cose non
stavano così. Non si poteva ricominciare daccapo. La strada era un’altra, lo
intuivo, ma ancora non lo capivo.
Non desideravo
ricominciare tutto daccapo. Ma non riuscivo a frenare questo mio bisogno di
andarci fino in fondo. L’unica cosa di cui ero sicura era che dovevo per forza
capire. Dovevo capire come poteva essere che un uomo come Alvise, lasciamo
stare che era mio marito, dico un uomo come lui, potesse vivere un’esperienza
simile e con quel gusto. Io lo dovevo capire. Iniziavo a sospettare che mancava
a me qualche informazione, se scartavo l’idea che mi ero fatta sulla
possibilità che fosse malato. Se davvero credevo che potesse essere malato,
come mai mi ci stavo rompendo la testa?
Comunque una
vocina mi diceva che quel tipo dovevo assolutamente conoscerlo. Poi magari, al
momento, avrei potuto vedere come far evolvere le cose, ammesso sempre che a
lui potessi interessargli, visto che ero una donna.
Alvise
continuava a cercarmi e a scrivermi messaggi e io mi limitavo, di tanto in
tanto, a rispondergli che non ero ancora pronta per vederlo, che non gli
promettevo niente e che prima di poter parlare un’altra volta dovevo
assolutamente riprendermi. Per un po’ lui se ne stava buono poi ricominciava a
cercarmi e a dirmi quanto mi amasse.
A volte
desideravo che con lui ci fosse stata un’altra donna, non so, in quei momenti
credevo che potesse essere tutto più semplice. Sicuramente più doloroso, ma più
semplice. Io non mi sentivo tradita, mi sentivo ingannata. Ingannata da un uomo
che aveva avuto la forza di farmi sentire al sicuro con lui, come era riuscito
a fare mio padre. E poi è come se improvvisamente avessi scoperto che questa
forza non ce l’aveva. Quel senso di protezione che era riuscito a darmi mio
padre, l’avevo ritrovato in lui e quello
che ho visto quel giorno l’ha annientato in un colpo solo.
E ora mi sentivo
sola e vulnerabile.
Se di buono
c’era qualcosa era proprio questo mio modo di analizzare me stessa.
Passarono due
giorni e mi arrivò questo messaggio:
‘ciao, sono
renzo, il tipo della macchina che hai speronato,
ho pensato che almeno il fanalino dovrei cambiarlo, ci vogliono ben 80 € non so
se ti conviene fare la denuncia. A me va bene anche se me li dai in due o tre
volte. Fammi sapere J grazie ciao’
Lo rilessi una decina di volte. Chissà cosa mi
aspettavo. Forse che mi avrebbe telefonato per invitarmi a cena. Che stupida.
Stupida tre volte, primo perché l’ho cercato io, secondo perché non so nemmeno
io cosa stavo facendo e terzo perché non sapevo nemmeno sedurre un uomo. Sì che
magari ‘sto qui era una checca irreversibile.
Sai cosa c’è di
buono Masha? Che almeno ti ha mandato un messaggio, pensa se non si fosse mai
più fatto vivo.
Prima di
rispondere dovetti riflettere un bel po’.
Innanzi tutto,
Masha, cosa vuoi ottenere?
Bella domanda.
Non lo sapevo nemmeno io. Lo ammetto, una parte di me voleva andarci a letto.
Era davvero un bel ragazzo ma forse era una specie di ripicca o qualcosa di
simile. Una perversione, una vendetta….. o chi lo sa. Certo, se fosse stato
ripugnante non mi sarebbe neanche venuto in mente.
Ma forse in
realtà volevo veramente scoprire qualcosa di molto intimo di Alvise. C’era
sempre quella vocina che mi diceva che questo Renzo avrebbe potuto essere un
buon mezzo per capire mio marito. In fondo era stata la fortuna a farmi
rivedere la sua auto.
Infine decisi di
stare al gioco, di non aspettarmi niente e visto che lui stesso mi stava
offrendo la possibilità di pagare in più volte, avrei fatto proprio così, avrei
ripagato il fanalino in questo modo così lo avrei incontrato almeno tre volte.
Con Alvise non
ci volevo parlare. Almeno non subito. Non mi fidavo di lui. Per quanto ne sapevo
poteva raccontarmi quello che voleva. Avevo paura. Avevo paura perché lo amavo
tantissimo e temevo che gli sarei caduta tra le braccia prima ancora di aver compreso e accettato
tutto quanto, ammesso che ci sarei riuscita e ammesso che avessi scelto che ciò
che avevo compreso comunque avrebbe potuto portare ad un nuovo inizio.
L’unica cosa che
potevo fare era davvero parlare con questo Renzo.
Il giorno dopo gli
risposi
‘ciao sei molto
gentile. ti ringrazio tanto per la disponibilità. preferisco darti i soldi che
fare la denuncia. se vuoi posso già darti 30€ e il resto forse tutto il prx
mese. come faccio a darteli? Masha’
Prima di
inviarlo lo rilessi più volte. Ero indecisa se firmarmi o meno. Non sapevo
bene. Avevo paura che non essendo necessario potesse pensare male. Avevo paura di
assumere un tono troppo confidenziale. Forse avrei dovuto dargli del ‘lei’. Ma
scrivergli il mio nome mi sembrava troppo importante per i miei disegni.
Chissà come la poteva
prendere Alvise se avesse saputo che mi stavo massaggiando con colui dal quale si
faceva inculare. Forse non sembra ma in quel periodo soffrivo tantissimo. Ad
ogni modo, questa storia, per chi ha un buon senso dell’umorismo, stava
prendendo anche una piega tremendamente ironica.
Renzo mi rispose
subito dopo
‘ok perfetto
masha, per renderti le cose più semplici potresti lasciarmi una busta alla
segretaria dell’ufficio dove lavoro, è proprio davanti a dove mi hai speronato J al numero 76, basta che ci scrivi sopra renzo. io sono
spesso in giro e la recupero quando rientro, ok?’
Merda.
Questo non
l’avevo calcolato. Cazzo vaffanculo. Ma cos’ha paura che me lo mangio? È
proprio un finocchio di merda! Ma gli faccio così schifo?
Sgrunt
……………..
Calma……
E ora? (mumble
mumble)
E va bene! Vuoi
la guerra? Eccotela
‘scusami ma sai
in quella zona dovrei venirci apposta, non è che si può fare in un altro modo? non
so magari anche tu abiti in città e ci possiamo vedere dopo il lavoro o nella
pausa pranzo. mi faresti un gran favore perché abito proprio dalla parte
opposta’
Ecco. Limpido e
senza tanti fronzoli. Ma tanto non serve a niente, se è stronzo è stronzo e
basta.
Ma lui mi
rispose ancora una volta immediatamente
‘ah caspita
perdonami, non so perché ma ero convinto che anche tu lavoravi in zona, mi
sembra di averti già vista ma non saprei dirti dove. Allora potremmo vederci al
bar all’angolo tra via Cayce e via Rol domani sera verso le sette, ok?’
O merda. Allora
mi ha riconosciuta. Cazzo cazzo cazzo .
Se mi ha
riconosciuta ci faccio una figura di merda imperiale.
E ora cosa
faccio?
Niente cosa ci
vuoi fare Masha? Ormai ci devi andare. A sto punto non mi stupirei se domani
alle sette si presentasse anche Alvise. Sarebbe veramente fantastico.
Il mondo gira
sempre da una parte sola, sempre nel solito senso e i maschi vogliono portarsi a letto le donne. È fatto
così il mondo. Allora perché esistono maschi che vogliono portarsi a letto le
donne e nello stesso tempo, gli stessi maschi, si inculano i mariti delle donne
che vogliono portarsi a letto?
??????????
“Sei sposata?”
“Mah, diciamo
che lo ero fino alla settimana scorsa, ora non lo so più nemmeno io.”
“Cosa fai
stasera?”
“Cos’è un
invito?”
“Non lo so…. e
se lo fosse?”
“Certo che sei
un bel tipo, ci provi subito alla prima rata? Guarda che a seconda di come
vanno le cose potresti perdere le altre.”
“Che importa.
L’importante è che se usciamo guido io.”
“Cretino…. E tu?
Sei sposato?”
“Eh, lo sono
stato….”
“E poi’ che è
successo?”
“Mi ha lasciato,
ecco cos’è successo.”
“Mi dispiace.
Vedo che ancora ti fa un po’ male. Ti ha lasciato per un altro uomo?”
“No, l’ho
tradita.... Non ne ha voluto più sapere. Masha, ho un figlio.”
“Ma dai? Sono
contenta per te, dev’essere meraviglioso essere genitore. Io ancora non ne ho
ma è da un po’ che ci penso. E poi è finita anche con quell’altra donna?”
“Ma quante
domande che fai. Ora sono single, ti basta?”
“Hahaha certo
che mi basta.”
“Ma che strano,
mi sembra di conoscerti già, forse abbiamo frequentato gli stessi posti. Ma
anche te sembra di esserci già visti?”
“Sì forse. Ma
sai la città non è poi così grande, chissà, magari andavamo nella stessa scuola
o nella stessa discoteca, chissà...”
“Bé, allora? Non
mi hai ancora detto cosa fai stasera?”
“Andrò a casa.”
“A casa? E che
ci vai a fare? Potremmo cenare insieme e poi fare una passeggiata lungo il
fiume, che ne dici?”
“Mmmm, non lo
so, mi sembri un tipo un po’ pericoloso.”
“Pericoloso io?
Ma dai.”
“Ma non in quel
senso, nel senso che mi sembri un po’ birichino.”
“Mmm. E se
fosse? La vita è fatta per essere vissuta. La natura compie sempre i suoi
disegni.”
“Ahhh, sei anche
filosofo. Ok, va bene, devo solo avvisare mia mamma.”
“Andiamo,
conosco un bel posticino qui vicino.”
Non bevete vino
se siete depresse, se siete confuse, se siete sconvolte e soprattutto se siete
a cena con un tipo molto interessante che si scopa vostro marito.
“Scusa, posso
farti una domanda?”
“Certo.”
“Non capisco una
cosa: com’è che subito mi hai proposto di lasciarti una busta in ufficio e poi
invece, dopo che ci siamo visti, perché sono stata io a chiedertelo, mi hai
invitato a cena?”
“Hehe. Volevo
vedere come reagivi. Quando sei uscita dalla macchina mi hai folgorato. Non
potevo rischiare di farmi vedere che ci provavo subito. Io davvero ero convinto
che lavoravi lì vicino, in qualche modo ti avrei chiesto dove e sarei venuto a
trovarti. In fondo avevo il tuo numero.”
“Ma guarda che
tipo! Ma sarai qualcosa...cioè, aspetta, fammi capire, tu appena mi hai vista
avevi già pensato di corteggiarmi?”
“Hahaha, sì lo
ammetto.”
E questo fu più
o meno il tono del nostro incontro: divertente, intrigante, stimolante.
Sarà stato il
vino ma me lo mangiavo con gli occhi. Pensavo ad Alvise e a quanto era stato
bravo a riuscire ad andare aletto con un ragazzo come Renzo. Io non ci ero mai
riuscita. Alvise è un bell’uomo ma non è come Renzo. Quel ragazzo mi guardava
in un modo...omioddio.
Brillante,
intelligente, sensibile, innamorato di suo figlio.
Il mondo mi si
stava capovolgendo addosso. Anzi mi sentivo una matrioska perché c’erano un
sacco di me stesse, una dentro l’altra e a tavola con Renzo avevo iniziato ad
aprire la prima.
Mi portò a casa
sua. Non sapevo spiegarmi come ad un ragazzo così potessero piacergli anche gli
uomini ma non me ne importava più niente.
La sua casa era
la classica casa del single divorziato, non so esattamente cosa vuol dire questo
ma mi dava proprio quella sensazione.
Aveva una cameretta per Nicolò, suo figlio. Il resto della casa era semplice e
profumato e dava l’impressione di essere per lui una casa provvisoria.
Appena entrati
mise subito un po’ di soul in sottofondo, accese qualche candelina e mi versò il
mirto che fa sua mamma. Mi sedetti sul divano e mi tolsi le scarpe. Ero già tragicamente
a mio agio.
Mi parlò di lui
quando era bambino e di come gli assomigliava Nicolò. A me non fece molte
domande, forse aveva intuito che non ne desideravo. Era calmo e sicuro di sé e
mi faceva capire quanto gli piacessi. Sembrava che quasi quasi non gli
importasse di portarmi a letto subito, anche lui amava aspettare. Io dal mio
canto, ero eccitatissima e mi godevo l’attesa anche se fremevo.
Poi si avvicinò
per versarmi dell’altro mirto ma invece mi rubò il bicchiere e mi baciò.
Ovviamente lo
lasciai fare. Prima di Alvise avevo avuto molte storielle ma erano anni che
baciavo solo lui. Non so spiegare che emozione provai nel contatto con una
bocca nuova, meravigliosa, calda. In quei momenti non so proprio dire che
effetto mi faceva la consapevolezza del fatto che era bisex. Come minimo capivo
Alvise se, anche essendo uomo, aveva potuto godersi un bacio così.
Non fu
esattamente il suo fisico a buttarmi al tappeto, ma come lo muoveva e come lo
muoveva su di me. Renzo in fondo era un ragazzo normale ma i suoi occhi
cercavano il piacere e le sue mani sembrava che lo trovassero. Poco dopo
eravamo nudi e quando il suo orgasmo riempì la mia bocca mi sentii sporca e
appagata al solito tempo.
Trascorse una
settima nella quale ci vedemmo tutti i giorni. Non ci capivo più niente. Mi
sentivo anche un po’ in colpa, non so bene il motivo, forse perché stavo
scopando con un uomo pur essendo sposata, forse perché avevo iniziato un gioco
che poteva essere perverso, forse perché avevo rubato l’amante di mio marito o
forse perché mi stavo innamorando anche di lui.
Alvise
continuava a cercarmi. Non l’avevo più visto.
Era arrivato il
momento di alzare il sipario. Con Renzo.
Ma poi mi dissi
che se volevo essere onesta fino in fondo, dovevo farlo prima con Alvise.
Non so spiegarlo
bene ma me lo ripetevo nella testa come se fosse mio padre a dirmelo. E in
fatti feci proprio così. Gli piombai in casa. Non se l’aspettava. Quasi non gli
rispondevo nemmeno ai messaggi. Ma lui cosa ne poteva sapere di quello che
stavo vivendo dentro. Era visibilmente agitato e preoccupato, chissà cosa
pensava che fossi venuta a fare. Forse a lasciarlo definitivamente.
Invece non
sapevo nemmeno io che cosa sarebbe successo. Dovevo solo dirglielo.
“Ho conosciuto
Renzo”
Silenzio
“R..Renzo?”
“Sì, Renzo.”
“Ah....... E....
come hai fatto a conoscerlo?”
“Che importa?”
“Già che
importa.....e.....quindi?”
“Scopo con lui
da una settimana.”
“Cosaaaaaa????....Non
è vero, sei una stronza, mi vuoi solo far soffrire”
“Abbiamo saltato
solo lunedì perché stava con Nicolò.”
A quel punto si
sedette.
“Non è
possibile, siamo ai confini con la realtà”
Mi guardò a
lungo poi continuò
“Ma che cosa hai
in mente?”
“Niente, te lo
giuro Alvise, assolutamente niente. Volevo solo conoscerlo ma poi credo di
essermi innamorata.”
“?”
“Sì. E sai una
cosa? Io non so da uomo se tu puoi provare le stesse cose, ma.... in fondo ti
capisco, è una persona in gamba.”
“Non ci posso credere.....ma....lui.....sa
chi sei?”
“Non ancora.”
“E ovviamente
pensi di dirglielo.”
“Certo. Perché?
Cosa dobbiamo continuare, questo teatrino?”
“Masha, mi
dispiace.”
“Forse non hai
capito: credo di esserci passata dentro a tutta questa storia, voglio dire...
non so se mi capirai ma credo e spero di sì: vedi, all’inizio è stata dura e lo
è stato fino a quando non l’ho conosciuto. Poi non so, deve essere successo
qualcosa del tipo che innamorandomi di lui, ho conosciuto un po’ di più te.
Attraverso di lui mi sembra di aver capito cose su di te che non
conoscevo....molte altre le ho collegate, ho chiuso dei cerchi, non so se mi
sto spiegando bene, ho imparato qualcosa. L’unica tristezza che ho è che non
sei stato tu a dirmelo, a farti conoscere, ma lo sai? Forse non sarei stata
pronta: se ho capito qualcosa è proprio grazie a come sono andate le cose.”
“E che cosa
avresti capito Masha?”
“Che l’amore non
ha confini, non ha ruoli, non ha sesso. È amore e basta. Tu ami quell’uomo, lo
so, me lo ricordo bene, l’ho visto nel tuo volto quando vi ho beccati e lo sai
come faccio a saperlo? Perché quando sono con lui mi sembra che la mia faccia
sia come la tua. Ci ho pensato tanto: quando Renzo mi fa godere mi sembra di
avere la tua faccia, la tua espressione di quella sera. E vi amo tutt’e due in
quel momento, tanto, anche perché anche voi due vi amate....cerca di capirlo
perché non so se riuscirò a spiegarlo di nuovo.”
“Sì forse
capisco. E’ bello quello che dici..... ma ora....che facciamo?”
“Chiamalo e
invitalo a cena.”
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