lunedì 28 ottobre 2013

MONDI INASPETTATI - racconto






Posteggiai l’auto sulla strada perché nel vialetto, al mio posto, dietro a quella di mio marito, c’era un’altra auto. Non la conoscevo. Alvise avrebbe potuto ricevere una visita da qualcuno dei suoi amici o colleghi che ogni tanto riceve nel suo studio, dei quali io conosco le auto di tutti, ma qualcuno di loro avrebbe potuto cambiarla o venire a trovarci con un'altra. Magari l’auto di servizio di un’officina, o magari l’auto di un parente o di un amico. Circostanza del tutto verosimile, possibile, probabile e soprattutto …. sperabile.
Mi venivano tante congetture nella mente per il semplice fatto che io sarei dovuta rientrare il giorno dopo. Alvise ovviamente non lo sapeva. Semplicemente non lo avevo avvisato. Ero sfinita. Il seminario mi aveva ridotto a striscioline piccole piccole, avevo solo voglia di entrare in casa, togliermi le scarpe, fare una doccia e andare a letto. Quindi, quando ormai ero di strada, avevo deciso di fargli una sorpresa. Passai di fianco alla misteriosa macchina e mi diressi verso l’ingresso. Mi soffermai qualche attimo ad osservarla: non sembrava il mezzo di una donna, era sporca e in disordine e all’interno non vi era alcuna traccia di presenza femminile. Ero un tantino sollevata dalla cosa. In tanti anni di matrimonio non mi è mai passato per la testa di essere gelosa di lui. Addirittura qualche anno fa, abbiamo passato un periodo nel quale ero quasi convinta che avesse un’altra. Non so esattamente da quali segni riuscivo ad arrivare ad una simile conclusione, forse solo uno spiccato intuito femminile, ad ogni modo mi imposi di non fare e di non dire nulla. Soffrii in silenzio e mi aspettavo che se fosse stato veramente così, avrebbe dovuto essere lui a dirmelo. Fortunatamente, forse, quel periodo lo vide mostrarsi nei miei confronti ancora più attento e carino e anche se mi dedicava meno tempo, quando stavamo insieme, eravamo molto innamorati. Io ovviamente ero torturata da una miriade di pensieri ma cercavo di non mostrarmi gelosa, anche se il suo comportamento amorevole, in quelle circostanze, mi feriva ancora di più. Cercavo di non mostrarmi troppo presente nella sua mente e gli ho dato il tempo di elaborare quello che gli stava succedendo, qualunque cosa fosse. Certo, avevo fatto domande, mi ero mostrata interessata al suo stato che alternava momenti di nervosismo a momenti di affetto e in più spesso era fuori casa. In qualche modo mi aveva comunicato il suo disagio e da qualche parte nei suoi occhi leggevo il suo bisogno di avermi al suo fianco discreta e silenziosa. Non fu facile. Siamo tanto innamorati, lo siamo sempre stati. Io confidavo in lui e lui confidava in me. Se non mi parlava doveva esserci un motivo. Ne ero convinta. Lentamente quel periodo passò e piano piano  riacquistammo la serenità. Ovviamente io non avevo dimenticato tutto velocemente ma mi sforzavo di farlo perché ho sempre creduto a un’equazione amorosa: il rapporto tra due persone è fatto di cose che si danno e di cose che si ricevono, se questo scambio è appagante e non esistono comportamenti che “tolgono”, il rapporto, a mio avviso è sano. Lo so che è difficile accettare un simile concetto ma io l’ho fatto mio e in quell’occasione l’ho anche messo in pratica. Alvise non mi ha tolto nulla in quel periodo, se non un po’ di tempo ma ha continuato a darmi le cose a cui mi ha abituata, le cose che mi hanno fatto innamorare di lui. Forse ha dato qualcosa a qualche altra persona ma di questo, in qualche modo ne era turbato lui stesso. La presenza di un’altra persona nella sua vita lo turbava. Riuscivo a interpretare dai suoi comportamenti che lui stesso in qualche modo provava un disagio. Forse gli era capitata una storia molto coinvolgente e si era trovato a fare una scelta. Alla fine, se così stavano le cose, aveva scelto me e io mi sforzavo di vivere positivamente il risultato piuttosto che farmi tormentare dalle immagini che cercavo di scacciare che lo vedevano tra le braccia di un’altra donna.
Credo di essere stata brava, ma non ci sono riuscita da sola, mi ha aiutato un’amica, che non condivideva per nulla le mie posizioni. Anche se delicatamente, mi consigliava di prendere le cose di petto, di spiarlo o farlo spiare, e di creare le condizione perché tutto venisse alla luce e di fargliela pagare. Ma al di là delle sue idee, comunque, mi stava a sentire e questo è stato importantissimo perché mi ha dato modo di esternare tutte le mie emozioni.
Quella sera ero fuori dall’ingresso e non sapevo cosa fare. Non sapevo come comportarmi. Normalmente, quando rientro in casa, tiro fuori le chiavi apro la porta ed entro. Quella sera ero parecchio nervosa. Iniziò a battermi forte il petto. Mi dicevo da sola che stavo esagerando e non capivo come mai dovevo per forza avere dei sospetti. Solo per il fatto che quell’auto non la conoscevo e il fatto che io in quel momento non sarei dovuta essere a casa? In fondo bastava che entrassi per scoprire subito cosa stava succedendo. E quello fu proprio il motivo che mi spingeva ad esitare. Avevo paura di scoprire qualcosa. Avevo anche paura di invadere il suo spazio. Lo so che è assurdo ma provavo anche questo. Mi era quasi venuto in mente di chiamarlo al cellulare e avvisarlo che di lì a poco sarei rientrata. Mi sarei allontanata e avrei cercato di vincere la paura, la curiosità e non avrei voluto vedere niente.
Ma poi ho pensato che qualsiasi cosa stava succedendo in casa nostra, avrei dovuto saperlo, in fondo era un mio diritto e nell’agitazione mi ripromisi che comunque, nel caso avessi scoperto qualcosa di molto doloroso, non avrei fatto scenate inutili e mi sarei comportata dignitosamente. Inserii le chiavi, avevo una paura incredibile.
Entrai.
Dall’ingresso potevo vedere lo studio. La porta era aperta e vedevo benissimo che dentro non c’era nessuno. L’agitazione stava aumentando. Istintivamente iniziai a muovere i primi passi cercando di non fare rumore. Mi tolsi le scarpe. In soggiorno e in cucina non c’era nessuno. Ormai i miei sospetti iniziavano a trovare molte conferme. Decisi di guardare nel giardino dietro casa se per caso ci fosse qualcuno, ma se non avessi visto nessuno voleva dire che Alvise, se  era in casa con un'altra persona, stava per forza al piano di sopra, in camera da letto o nella camera degli ospiti.
Con il cuore in gola e un’angoscia terribile salii le scale cercando di non fare rumore. Gli scalini cigolavano e io per ridurre al minimo l’effetto del mio peso su di essi, salivo rasentando il muro. Mi sentivo una ladra in casa mia. Odiavo comportarmi in quel modo ma ero turbata tantissimo e stavo facendo l’unica cosa che istintivamente mi veniva spontanea. In breve fui nel piccolo corridoio. La porta del bagno e quella della camera degli ospiti erano chiuse. La porta di camera nostra era semi aperta. Tesi l’orecchio e sperai di non udire nulla. In fondo poteva non esserci proprio nessuno in tutta la casa. Poteva essere che mio marito con due o più amici fossero andati a cena fuori e che le macchine di alcuni di loro, compresa quella di Alvise fossero rimaste posteggiate nel vialetto e qualcuna nella strada. Come mi sarei sentita scema a scoprirmi spiare qualcuno che non c’era. Mi venne in mente solo in quel momento questa possibilità e vi ho sperato davvero tanto ma proprio in quell’istante udii un sospiro. Fu terribile. Mi prese un capogiro. Quasi non caddi. In quel momento trovai fondamento a tutti i miei sospetti. Ormai ne ero sicura: in camera nostra Alvise era in compagnia di un'altra donna. Mi prese uno sgomento terribile, una mescolanza di emozioni, di pensieri , di paure si contendevano la mia mente. Stavo per scoprire che mi  tradiva e realizzavo questo a qualche livello della mia coscienza. Cercai il coraggio e mi avvicinai alla porta. Volevo vedere e allo stesso tempo non avrei mai voluto vedere. Sapevo che stavo per vivere un trauma potentissimo. Avevo una paura lacerante. Ma mai al mondo avrei potuto immaginare e sospettare quello che stavo per scoprire. Quella visione fece scattare la mia muscolatura che per riflesso diede un colpo alla porta che sbatté aprendosi completamente, contro il muro. La prima cosa che feci fu di lanciare un urlo lancinante e mi misi a piangere come credo di non aver mai pianto in vita mia. Alvise si stava facendo inculare da un uomo nel nostro letto. E la cosa che mi colpì di più, in quel breve lasso di tempo che intercorse tra aver visto la scena e la porta che sbatté, fu l’espressione di godimento nel suo volto. Mi rimase impressa tanto da essere tatuata nella mia mente per tutta la vita. Lo schock fu terribile per tutti e tre. Rimanemmo immobili tutti per alcuni secondi. Nessuno riuscì a dire niente. Io piangevo in uno scroscio potentissimo. Poi, improvvisamente mi venne da fuggire. Non ricordo più nulla so solo che poco dopo mi ritrovavo in auto e guidavo pericolosamente per le vie del mio quartiere. Una cosa sola ricordo: la voce di Alvise che gridava il mio nome, mentre fuggivo, nella disperazione più assoluta. Un grido disumano, credo che nemmeno un dolore atroce che porta alla morte possa far urlare in quel modo. Più avanti realizzai che se a me era caduto in frantumi tutto il mio mondo, a lui era successa esattamente la stessa cosa, ma forse peggio perché in lui fu potentemente traumatica la nascita improvvisa di un senso di colpa e forse ancor di più di vergogna.  
Ma le vicende erano ancora molto lontane dall’essere comprese ed elaborate. Nelle nostre vite era caduto un meteorite capace di portare l’estinzione di tutte le certezze.
Io vagai per un tempo infinito, indefinito. Nella mia borsa il cellulare suonava ma io quasi non lo sentivo. Non so quante volte ho dovuto rischiare la vita prima di iniziare a calmarmi quel tanto che bastasse per riuscire a fermarmi. Devo anche aver urtato contro qualcosa, un auto posteggiata forse. Senza nessun motivo apparente mi fermai. Mi trovavo nell’ampio spazio del parcheggio di un supermercato che a quell’ora era vuoto. Forse fu proprio quella desolazione e lo spazio vuoto a indurmi a fermarmi. Il cellulare continuava a squillare ma la mia mente seguitava a non registrare quel suono.

Bussò alla porta ed entrò con un vassoio sul quale fumava la mia colazione
“Ad un certo punto ho realizzato che se non portavo la colazione qui, tu da quel letto non ti saresti mai mossa per raggiungerla, e….. guardandoti mi sa che ci ho beccato. Masha? Non starai ancora dormendo.”
Vera mi aveva ospitato la notte passata, alle due del mattino. Ero piombata a casa sua scalza, consumata dal pianto e in uno stato di semi incoscienza.
Le avevo raccontato tutto. Lei mi aveva ascoltata poi mi ha messo in mano un pigiama, un asciugamano, mi ha detto che potevo usare il suo spazzolino e poco dopo ci ritrovammo abbracciate nel suo letto.
Mi coccolò per mezz’oretta, poi poverina si addormentò. Io ci misi un po’ di più ma alla fine mi addormentai anch’io. Al mattino non la sentii alzarsi. Nel momento che entrò in camera, io ero sveglia da un po’ e fissavo un punto nel soffitto nel quale vedevo passare una moltitudine di immagini. Avevo gli occhi gonfi ma non piangevo più. Anzi sapevo che almeno quella fase era finita definitivamente.
Mentre bevevo il caffè e non la smettevo più di ringraziarla mi spiegò che si era alzata alla solita ora, aveva accompagnato Luce all’asilo e poi invece di andare al lavoro, era tornata a casa da me. Poi vedendo che non mi alzavo mi aveva lasciato stare fino a mezzogiorno.
“La bimba si è accorta di qualcosa stanotte?” Mi informai.
“Ma no, lo sai come dorme.”
“Oh madre santissima, grazie al cielo, chissà che spavento che poteva prendersi.”
“Sè, Luce? Quella ce la ritrovavamo nel letto e ci obbligava a giocare con lei.”
Vera era separata da un paio d’anni, che io sappia non per tradimento. Ha passato anche lei dei brutti momenti, anzi non ne è ancora uscita del tutto. Il suo ex, il padre della bimba, si è mostrato inaspettatamente un gran pezzo di merda. Se ne sentono tante di storie simili.  
Sotto la doccia pensavo agli uomini. Alvise non era davvero un pezzo di merda, almeno non come l’ex di Vera., che tra l’altro non mi era mai piaciuto. Alvise invece con Vera è sempre stato carino e lei mi diceva spesso che ero fortunata. Ora è cambiato tutto. Ora mi diceva che è un pezzo di merda come tutti gli altri. Immagino che lo facesse per consolarmi di ripetermi che un tradimento è un tradimento, sia che venga consumato con una donna che con un uomo. “Con un uomo è solo un po’ più esotico.” Aveva detto una sola volta. Si tratteneva un po’ ma vedevo chiaramente che provava disgusto. Probabilmente ci andava giù dura perché interpretava la mia fuga come una decisione definitiva e quindi dava manforte a quelle che credeva essere le mie idee, le mie posizioni. Invece mi faceva ancora più male. Ma lei non ne aveva davvero colpa. Io non mi sentivo in fuga. Almeno non definitivamente. Nella confusione sapevo e capivo con chiarezza che dovevo capire un sacco di cose, invece. Quindi ero tutto tranne che nella condizione di prendere delle decisioni definitive. E poi col cazzo che un tradimento con un uomo è uguale a quello con una donna. L’acqua della doccia sembrava capace di portare via un po’ di nebbiolina. In fondo più ci pensavo e più non mi sentivo tradita. Non almeno come se lo avessi sorpreso con una donna. Una donna rappresenterebbe una rivale. Metterebbe in discussione la mia femminilità, il mio ruolo di donna come compagna, come amante, come donna di casa, come madre perfino: anche se ancora non avevamo figli, il mio desiderio più grande nell’ultimo periodo era quello di avere un bimbo da lui. Se lo avessi sorpreso con una donna, la prima cosa che avrei pensato è che non mi avesse ritenuto più o forse ancor peggio mai, all’altezza di dargli un figlio. Lo avrei pensato, ne sono sicura.
Ma allora cos’era che mi stava facendo soffrire così tanto? Me lo chiesi mentre mi asciugavo i capelli.
La risposta in fondo era una sola: non sapevo più chi era il mio uomo e questo era molto destabilizzante e per qualche ragione lo era anche e soprattutto riguardo la mia identità.
Improvvisamente sentii il bisogno di parlare con lui. La notte prima il telefono aveva squillato fino a rischiare di sciogliersi. Poi erano arrivati alcuni messaggi. Non li avevo ancora guardati.
Uscii dal bagno. Vera era davvero molto premurosa.
“Vuoi che ti accompagni a casa a prendere un po’ di cose? Lo sai che puoi fermarti qui per tutto il tempo che vuoi, vero?”
“Grazie amore mio. In realtà pensavo di andare da mia mamma, almeno ho la mia camera, capisci? Devo solo trovare una storia da raccontarle, tanto più che una storia la devo inventare per forza anche se non andassi da lei perché molto presto scoprirebbe che non sono più a casa con Alvise. Non mi va di dirle la verità.”
“Dille che l’hai beccato con una donna”
“No Vera, comprometterei un sacco di cose, più di tutto la sua reputazione e poi non è la verità. Vedi? Io non so ancora che decisioni prendere perché non so ancora cosa sta producendo dentro di me tutta questa storia.”
Mi guardò sorpresa “Non vorrai mica dargli un’altra possibilità?” Stavolta la guardai sorpresa io, sembrava che avesse deciso per conto mio.
“Non lo so, probabilmente se fosse stata una donna sarei qui a chiedermi se dargli un’altra possibilità o meno ma il fatto che era un uomo…. Non so, capisci che devo capire?”
Fece uno sforzo per trattenersi. “Mah! Secondo me peggio di così…scusa se te lo dico ma a me farebbe tanto e solo schifo che non riuscirei più nemmeno a parlargli.”
Non le risposi, la guardai con un grande punto interrogativo stampato sul volto. Lei forse lo interpretò come una conferma di quello che mi aveva appena detto perché le lessi negli occhi una sorta di compiacimento ma in realtà gli interrogativi erano ben altri, tanti e anche diversi tra loro e sono sicura che in mezzo ce n’era uno che la riguardava come amica nei miei confronti, ma non dissi niente. Cercai il cellulare nella borsa.
“Te l’ho spento io ieri sera perché continuavano ad arrivare messaggi.”
“Hai fatto bene, grazie.”
Mi prostrai in una serie di ringraziamenti e poi le dissi che dovevo proprio andare. Mi fece promettere che, qualsiasi cosa avessi bisogno, dovevo assolutamente chiamarla.
Dovevo essere proprio fuori di me la sera prima: la mia macchina era aperta e avevo lasciato le chiavi inserite al  loro posto nel cruscotto. Madonna santa, meno male che non se n’era accorto nessuno. Ci sarebbe mancato anche che mi facevo rubare la macchina come un’idiota.
Non appena mi sedetti mi tolsi le scarpe che mi aveva prestato Vera perché mi facevano già male. Eppure mi sembrava che avessimo lo stesso numero. Ne avevo scelto un paio con i tacchi, così, quasi senza pensarci perché vestita com’ero, con una gonna a tubino, una scarpa bassa ci stava proprio male. Che forza pensai. Ero lì che non sapevo più neppure io che donna ero, perché anche senza una rivale, scoprire che il tuo uomo adora farsi inculare, è una cosa che un po’ di certezze le toglie anche alla tua femminilità e lì in mezzo pensai alle scarpe. In quel momento non sapevo bene attraverso quali dinamiche ma capivo che parte del mio trauma era anche questo: la mia identità. Però se le scarpe non mi avessero fatto male non vi avrei prestato attenzione a quel particolare. Cioè al fatto che in mezzo alla confusione e alla sofferenza, così, senza pensarci troppo, ne  avevo scelto un paio adatto a come ero vestita e lo avevo fatto come lo avrei fatto in una situazione normale. Non so spiegarmi bene ma lo ritenevo importante. Mi sembrava una piccola conferma. Come se in quel piccolo particolare potessi trovare una risposta affermativa alla domanda se io sono ancora una donna.
Accesi il telefono. Arrivarono uno dietro l’altro decine di avvisi  di chiamate e di messaggi.
Alvise.
Lessi solo gli ultimi. ‘Amore dove sei? Rispondimi per favore sto di merda e sto anche iniziando a preoccuparmi.’
 ‘ti prego rispondimi anche con un sms ma fammi sapere che stai bene non so più cosa pensare’
 ‘se non mi rispondi chiamo la polizia sono seriamente preoccupato’
Oddio poverino. Ma davvero non è stato per cattiveria se non gli ho risposto. E chi connetteva più la sera prima? Peraltro non ne avevo ancora letto uno, quindi non mi era venuto in mente che poteva anche preoccuparsi. In effetti a pensarci bene…mi aveva visto sparire e non sapeva più dove fossi finita..
Molto combattuta, perché un po’ ne avevo voglia ma un po’ mi spaventava, lo chiamai subito.
“Masha! Oddio Masha, dimmi che stai bene.”
“Ciao Alvi. Sì sto bene, non mi è successo niente. Alla fine sono venuta da Vera. Non avrai chiamato davvero la polizia? Come mai non ti è venuto in mente di venire a vedere se ero qui?”
La mia voce tremava.
“Certo che mi è venuto in mente infatti ho fatto avanti indietro tra casa di tua madre e casa di  Vera un milione di volte, poi finalmente quando ho visto la tua macchina posteggiata, mi sono tranquillizzato, però ho continuato a mandarti messaggi sperando che mi rispondessi.”
“Ma scusa, se sapevi che ero qui come mai non hai suonato al citofono?”
Fece una piccola pausa “Ti avrebbe fatto piacere?”
“No davvero. Ero sulla luna e lo sono ancora adesso.”
“E io lo sapevo e poi avrei svegliato la bimba. In fondo se non mi stavi rispondendo voleva dire che non mi volevi parlare e in più non ne avevo il coraggio. Quando ho visto che eri lì ero tranquillo, però te l’ho detto, ho continuato a mandarti messaggi e speravo che li leggessi e che avresti evitato di farmi chiamare la polizia , che mi avessi dato quindi con questa scusa la possibilità di parlarti. Ma alla fine mi sono fatto bastare il sapere che eri al sicuro.”
“Dove sei?” gli chiesi.
“A casa, dove vuoi che sono.”
“Hai mica chiamato mia mamma?” Chiesi con una certa ansia.
“Certo che no.”
“Io non so bene cosa vengo a fare, ma tanto prima o poi bisogna vederci.” Diedi per scontato che non avesse nient’altro da fare  e andai a casa.

Ero decisamente molto agitata. Ancora non capivo certi meccanismi mentali che mi facevano quasi sentire in colpa. A tratti mi sembrava di essere io quella che era stata sorpresa a letto con un'altra donna. Affrontare Alvise con quello stato mentale, che era tutto tranne che chiaro, non era di certo il massimo. Ma del resto non sapevo neppure io che tipo di obbiettivo avevo. Una voce provava a convincermi che quello che avrei dovuto fare era di liberarmi di lui. Perché quello che era successo era immorale, perché un uomo è un uomo. Certo, ognuno è libero di fare quello che vuole ma ci sono delle situazioni che dovrebbero stare dentro a certi schemi, ma non per rigidità, solamente per assonanza, perché sono semplicemente incompatibili con altre. Questo è quello che in fondo credevo io. In altre parole ho sempre creduto che un uomo, che è un uomo, maschio, virile, che adora le femmine, come vedevo Alvise prima della sera prima, non potesse mai e poi mai arrivare a vivere una circostanza simile e in più a provarci un gusto così evidente. Ecco dove in fondo mi sentivo tradita: io credevo che Alvise avesse condiviso tutto con me e anche se non so come avrei reagito se un giorno semplicemente me lo avesse detto, ora oltre al problema in sé, di accettare, comprendere e capire una simile realtà, esisteva anche il fatto che lui mi aveva tenuto nascosto una cosa che evidentemente non era proprio una sciocchezza.
Mentre guidavo verso casa rimuginavo tutto questo.
Mi chiesi se mi sentivo delusa. Entro pochi minuti mi sarei trovata a faccia a faccia con lui e cercavo quindi di elaborare in fretta le mie emozioni.
Eppure delusa non era la parola giusta. Ma più ci pensavo e più intuivo che chiarezza l’avrei fatta una volta che avessi parlato con lui, perché era lui che mi doveva spiegare se davvero si poteva essere in due modi così diversi, opposti, in una persona sola. Oppure doveva ammettere che con me aveva sempre finto e che in fondo gli piacciono gli uomini. Magari lo aveva scoperto recentemente e questo avrebbe spiegato tutto. Poi mi venne in mente quel periodo che avevamo passato tempo addietro quando credevo che avesse un’altra. Mi si raggelò il sangue. Ne ero sicura, stava anche allora vivendo una storia con un uomo. Ecco di cosa mi sentivo in colpa: verso me stessa di non avere avuto la capacità di accorgermene. E lui, la sua bella fetta di colpa o di responsabilità, stava nel fatto che mi ha fatto credere per anni di essere un uomo e invece….. e chi lo sa cos’è.
Lo stavo odiando. Ecco: in quel momento sentivo che la storia sarebbe finita, c’erano tutti i presupposti.
Se non altro avevo maturato una rabbia, della quale ero cosciente, che mi aveva spinto da lui con una certa energia e fierezza.
Quando piombai in casa lo trovai fermo in piedi nel bel mezzo del soggiorno. Lo guardai. Lui forse capì e mi spiegò che stava camminando avanti e indietro perché non sapeva cos’altro fare.
Come avevo previsto mi fece una certa impressione vederlo. Io non so quanto si può capire quanto può essere traumatica una situazione del genere.
Mi sedetti sul divano, lui un po’ più in là.
Lo fissavo ma non mi veniva niente da dire. Iniziò lui e mi sa che da dire ne avesse tante.
“Masha, sono mortificato e mi vergogno tantissimo.” Fece una pausa e mi osservò. Io non provavo niente.
“Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo, credo….credo di essere bisessuale.” Ecco, qui esplosi
“Ah tu credi? No, te lo dico io: non so se bisessuale è la parola giusta ma qualunque cosa tu sei lo sei eccome.”
“Hai ragione, scusami. È vero, so di esserlo e di questo non mi vergogno, non almeno verso me stesso. Mi sto vergognando nei tuoi confronti sia di esserlo che soprattutto di non avertelo mai detto. Capisco ora di averti in qualche modo tradito e non sai quanto mi dispiace.” Lo lasciai continuare.
“Io spero di farti capire quanto sto soffrendo ma non solo, di quanto ho sofferto per tutti questi anni, dei conflitti interiori che ho vissuto, dei sensi di colpa nei tuoi confronti e di quanto abbia vissuto costantemente nella paura di perderti, se te lo avessi detto o se lo avessi scoperto da sola, come è successo. Un inferno Masha.”
“E io non mi sono mai accorta di niente.”
“Non ti sentire in colpa di questo: sono stato io che mi sono fatto in quattro per non farti arrivare le mie emozioni e le mie paure.”
“Non è sufficiente, avrei dovuto accorgermene lo stesso. Una donna se ne accorge, in un modo o nell’altro.”
“Ma non è vero. In fondo eravamo felici, noi due. Ti bastava. Io non ti facevo vedere niente dei miei turbamenti e quindi chi te lo avrebbe fatto fare di andare a scovare qualcosa che in fondo forse, ci avrebbe fatto soffrire inutilmente.”
“E qui ti sbagli di grosso caro mio. Ti sei arrogato il diritto di decidere per tutti e due e questa cosa, invece, la ritengo gravissima. Una coppia, almeno la coppia che credevo di essere con te, condivide tutto. Ma il problema è a monte: tu mi hai fatto credere di essere una persona e invece sei un altro…” Mi interruppe
“No Masha, ti sbagli, non sono un altro, ti solo omesso una parte di me ma quello che hai sempre visto sono io”
“Mavaffanculo. È la stessa cosa cazzo! Avrei dovuto saperlo. Ne avevi il diritto perché infatti è probabile che non avrei fatto le stesse scelte con te. È probabile che non mi sarei nemmeno innamorata conoscendoti per intero e non è un pregiudizio, ok? È solo una mia personalissima idea o chiamalo gusto o aspettativa di COME DEVE ESSERE IL MIO UOMO!!!”
Stavolta rimase in silenzio lui.
Io mi pettinai con le mani per alcuni istanti, con fare nervoso. Poi continuai
“Dimmi la verità: hai sempre finto con me? Ormai me lo puoi dire anche se non capisco il perché”
“Ma no. Io non ho mai finto con te. Sto provando a spiegartelo: dentro di me coesistono due mondi che apparentemente sono molto diversi tra loro. Ma lo sono per chi non ha la possibilità di viverli e di capirli perché per persone come me è normale invece. Se non ci sentiamo normali è solo perché non veniamo capiti e subiamo le conseguenze dei pregiudizi, anche se non direttamente, perché le nostre esperienze le viviamo con discrezione però il pregiudizio è sempre costantemente nell’aria. La società non contempla che un uomo normale se ne esca un mattino di casa e dica a tutti quanti che vive anche un altro tipo di sessualità, non verrebbe capito verrebbe minimo preso in giro.”
“Perché infatti forse non è normale, non ci hai pensato? Solo perché a te sembra di essere normale non significa che lo sei. Non credi?”
“Sì, può essere e infatti è per questo che in fondo mi sento anche in colpa quando metto in relazione questo mio aspetto con il resto del mondo. Ma ti assicuro che di per sé non mi crea nessun problema. Ma questi argomenti non sono proprio il centro di quello che dovremmo parlare io e te o almeno non ora. Credo che dovremmo parlare di noi due. Di cosa stai provando tu, vorrei dirti cosa sto provando io, di cosa ci produrrà all’interno di noi stessi questa vicenda.”
Feci un sospiro. Veramente non sapevo che dire. Infatti glielo dissi
“Alvi, io non so proprio cosa dire. Credo che mi ci voglia un sacco di tempo per capire. Forse sono già fortunata del fatto che almeno so che devo capire tanto non solo di te e di quello che è successo o meglio che ho visto, ma anche di me, e che quello che devo capire di te mi serve solo in funzione di quello che devo capire di me perché non so come mai ma sono andata in crisi io come persona, come donna. Mi manca il terreno sotto i piedi e questo, mi rendo conto, è un problema mio.”
“Certi traumi possono portare alla luce aspetti o blocchi che erano sepolti da tempo. Alla fine diventa positivo perché diventa un’occasione per crescere.”
“Quindi alla fine ti devo anche ringraziare.” Con questo sarcasmo mi venne spontaneo di alzarmi.
“Ascolta Alvise, devo andare ad organizzare la mia vita. Non sai che casino ne verrà fuori. Dovrò andare da mia mamma e non so proprio cosa raccontarle. Prendo un po’ di cose e vado ad affrontarla.” Ovviamente diedi per scontato che lui si aspettasse, minimo, che da quella casa io ne sarei uscita, invece mi sbagliavo.
“Masha, guarda che non devi per forza andare via. Anzi credo che sia uno sbaglio, se dobbiamo parlare, confrontarci potrebbe essere meglio stare insieme, non credi?”
Ero già a metà della scala, mi girai di scatto “Io non ci posso più stare qua dentro, come fai a non capirlo. Questa era un’occasione per tirare fuori un po’ della tua sensibilità femminile, ammesso che tu ce l’abbia.” Ci andai giù pesante. Me ne accorsi subito. Poverino, ci rimase davvero tanto male. Mi accorsi di quanta rabbia avevo dentro. Ma non ferii solo lui, ferii anche me stessa, perché mi fece pena, sì proprio pena. Mi misi nei suoi panni. Sentirsi dire dalla sua compagna una frase simile deve essere stato terribile. Infatti si soffermò solo un attimo nei miei occhi, come se seguisse solo l’eco di quello che avevo appena detto e poi senza dire niente si voltò e se ne andò, ma se ne andò piano, una lentezza che non era tanto in relazione a me cioè alla cosa da cui si stava allontanando, ma era in relazione, ne sono sicura, alla realtà a cui stava andando incontro. Una realtà nella quale si sarebbe presto sentito molto solo. 



In macchina scoppiai a piangere. E io che credevo che quella fase fosse finita. Col cazzo. Intuivo che fasi che mi avrebbero fatto piangere se ne sarebbero presentate molte altre. Mi sfogai un po’ per poter essere meno tesa nell’affrontare mia mamma.
Il problema di mia mamma, non era tanto mia mamma. Coma al solito il problema era il mio: non volevo farla soffrire e non volevo dirle la verità per rispetto di Alvise ma al contempo dovevo trovare una storiella, per nulla grave, che tenesse in piedi il fatto che comunque ero venuta via di casa. Mi accorsi che in questo modo stavo proteggendo mio marito. Lei non avrebbe capito e lo avrebbe subito giudicato e probabilmente lo avrebbe anche cancellato dalla sua vita, reo di aver portato uno scandalo terribile nella nostra famiglia. La conoscevo fin troppo bene. Da qualche parte dentro di me sapevo che stavo ancora amando Alvise. Non sapevo altro, compreso se e quando saremmo potuti tornare insieme, anzi in quel frangente la ritenevo una cosa poco probabile, ma appunto non impossibile, per cui dovevo stare attenta a divulgare informazioni in giro, soprattutto su di un argomento così delicato che avrebbe potuto compromettere la sua reputazione. Mi ero un po’ pentita di averlo detto a Vera ma sentivo che a qualcuno avevo dovuto dirlo per forza, per me e per la mia salute. Speravo di potermi fidare di lei, sapevo che forse non avrebbe capito ma da lì a sputtanare forse la sua etica avrebbe fatto la differenza. Però si rivelò anche un’opportunità averglielo detto: mi si era rivelata un po’ troppo stronza e questa rivelazione avrebbe sicuramente influito sul nostro rapporto. E quindi benvenga tutto ciò che mette in luce aspetti sgradevoli delle persone.
Bussai alla porta con i piedi perché avevo le mani e le braccia un tantino cariche di borse.
L’avevo avvisata al telefono che sarei arrivata e che sarei stata da lei qualche giorno. Le avevo fatto promettere di non preoccuparsi, che non era assolutamente niente di grave e che non appena a casa le avrei spiegato tutto.
Ovviamente lei mi stava aspettando con l’ansia proporzionata ad una tragedia. In casa tentai di prendere ancora tempo attraverso le azioni e i movimenti che stavo facendo per poggiare la mia roba e  per sistemarla sul mio vecchio letto, sulla mia vecchia poltrona. Lei mi seguiva con i suoi passi lunghi e la sua andatura che mostravano  il suo antico carattere fiero e impiedistallito. Nel tragitto tra l’ingresso e la mia camera aveva già posto una decina di domande. Io cambiavo discorso e lo dirottavo su quello che stavo facendo. Aprii il mio vecchio armadio e contemplai qualche attimo quello che rimaneva dei miei antichi vestiti. Quant’era che non aprivo quell’armadio e che effetto strano che mi fecero quei vestiti. Quando stavo là dentro mi sembrava tutto più facile. E che angoscia che mi prese all’improvviso. Mia madre continuava ad incalzare proprio in un momento che avrei desiderato il silenzio. Mi voltai e l’affrontai
“Mamma, non è successo niente di grave, abbiamo colto l’occasione di una discussione sulla quale non siamo esattamente d’accordo per prenderci un po’ di respiro. Tutto qui, davvero. Ti prego di crederci e ti prego di non fare domande.” Uh. La colpì la mia sicurezza. Caspita. Non c’era abituata immagino. In effetti non le avevo mai parlato così.
“Certo certo. Hai ragione sono cose vostre. Mi basta sapere che stai bene e che sei tranquilla. Se me ne vorrai parlare ne sarei contenta. Qui sei a casa tua, come sempre e sappi che ti voglio sempre un gran bene.” Si avvicinò e mi diede un bacio. Io l’abbracciai
“Grazie mamma.” Stavo per aggiungere che avevo bisogno di stare un po’ da sola ma poi realizzai che non dovevo mostrarmi troppo affranta e depressa altrimenti non avrebbe più creduto che la cosa era una crisi di poco conto. Questo mi pose il problema che di lì in poi avrei dovuto costantemente sforzarmi di recitare la parte della tipa tranquilla e improvvisamente capii che la difficoltà della situazione era notevole, ma del resto non avevo scelta. Lei, poverina, capì da sola che avevo bisogno del mio spazio. Mi chiese se avevo fame e poi mi lasciò alle mie cose.
Non avevo mai avuto un ottimo rapporto con lei. Sicuramente mi ha voluto un gran bene ma soprattutto quando ero  ragazzina abbiamo avuto moltissimi scontri.
In quel momento speravo di riuscire a creare le condizioni per una convivenza serena, perché sapevo che sarei stata in quella casa a lungo, questo è quello che sentivo dentro di me.
Una volta rimasta sola, credetti di potermi godere la mia privacy e di avere quindi la possibilità di riflettere con calma e di iniziare soprattutto a tirare le fila di quello che stava succedendo. La mia vecchia cameretta mi dava un senso di…non so spiegarlo bene, come di ‘stretto’, di qualcosa che mi stringeva intorno alla vita e alle gambe. Non ero esattamente a mio agio anche se ero nel luogo che più di tutti mi era famigliare, dove avevo trascorso la maggior parte della mia vita. Avevo anche perso la verginità su quel letto. Sentivo che prima di tutto avevo bisogno di riposare. Non ero sicura di riuscirci ma mi distesi e ci provai. La possibilità di godere del mio spazio, improvvisamente si trasformò in una paura terribile. Riscoppiai a piangere un’altra volta. Mi sentii sola e ricalcando il famoso connubio, anche abbandonata. Ma abbandonata da chi? da Alvise? Ma non ero stata io ad andarmene? Forse non mi aveva abbandonata quel giorno e forse nemmeno il giorno prima quando lo sorpresi in quella performance. Ma allora quando? Forse quando, tutte le volte che avrebbe potuto, aveva scelto di non mostrarsi per quello che era. Forse ad abbandonarmi sono stata io stessa, che in qualche momento della mia vita non ho colto l’attimo nel quale avrei potuto evitare tutto questo. Cos’era che mi pesava di più? Essere colpita, come una doccia fredda, da una realtà inaspettata e impensabile che toglie o sospende la stima alla persona sulla quale pende, o aver sovrastimato una persona o una situazione che mi faceva da nido sulla quale avevo basato tutte le mie certezze? La cosa ironica era che queste domande me le stava ponendo Fusahira, il mio orsetto samurai. O almeno cosi mi sembrava dopo che me lo ero portato al petto mentre stavo piangendo.
Il pomeriggio stava per finire. Non avevo ancora pranzato e non mi andava neanche di cenare ma non ci provai neppure a dire una cosa simile a mia mamma, l’unica cosa che potevo fare era di tentare di mangiare in camera, magari prometterle che poi avrei lavato i piatti io.
Dopo un’interminabile discussione ottenni il permesso di mangiare in camera.
Me ne stavo sdraiata a letto, accesi la tv ma tenni il volume a zero. Erano anni che la usavo come abat jour. Impiegai un sacco di tempo per finire di mangiare, oltretutto mia mamma non cucinava neanche bene. Poi posai il piatto sul pavimento e mi guardai intorno. Nel piano inferiore del comodino c’erano ancora, impilati, una dozzina di libri. Metà alla volta li presi tutti e me li misi vicino, nel letto. Mi tirai un po’ su con i cuscini e rispolverai le mie vecchie letture. C’era di tutto, saggistica, narrativa, poesie. Me li ricordavo tutti. Erano alcuni dei libri della mia adolescenza che non avevo portato con me nella casa nuova dove avevo vissuto con Alvise. Certo, ce n’erano altri, alcuni nella libreria sopra la scrivania e altri erano in soggiorno. L’unica cosa che non ricordavo era come mai quelli lì stavano sotto il comodino. Non era perché erano gli ultimi che avevo letto, Moby Dick lo avevo letto da bambina. Poi improvvisamente ricordai tutto. Fu un titolo a svelare il mistero: “Il delta di venere” Anais Nin. Omioddio, fu come un portale. Mi ritrovai contemporaneamente in più dimensioni. Quella predominante fu il ricordo di mio padre. Me lo regalò lui quel libro e subito dopo la copertina c’era la sua dedica. ‘Per la mia piccola Masha, che tanto piccola non è più, perché viva con gioia l’esplosione dei sensi’. Mi rimisi a piangere. Che strano, una parte di me era come se dicesse a quell’altra: stavolta sì, che ne vale la pena di piangere. Ma ancora più strano era che ero straconvinta che il libro fosse tra quelli che mi ero portata a casa mia. Ricordo  che l’avevo tenuto lì sotto quando ancora vivevo in quella casa, nascosto tra gli altri, perché mia mamma non lo vedesse, ma quella pila ero convinta di averla disfatta molto tempo prima che mi trasferissi a vivere con Alvise.
Dovetti obbligarmi a smettere di pensarci perché davvero non ne stavo più uscendo.
Mio padre. Morì circa un mese dopo. Lo sapevo bene: sotto la dedica c’era la data del giorno che me lo regalò e la data in cui ci lasciò, non la dimenticherò mai. Quando morì avevo sedici anni.
Sarà stata la situazione, sarà stato perché mi trovavo nella mia cameretta e sarà anche stato che stringevo al petto quel capolavoro di erotismo che strinsi alla stessa maniera il giorno che morì, non lo so, ma mi risalì completamente il boccone amaro e mi ritrovai a sentire la sua mancanza, forse come non l’avevo mai sentita ancora fino ad oggi. Mio padre. L’unica perdita che ho avuto e l’unica che sarà per sempre da me considerata la più grave e la più dolorosa. Se dovessi spiegare a qualcuno il motivo del mio legame fortissimo con lui, di come è cresciuto e di come mi sono sempre sentita amata, compresa e rispettata, bè, gli mostrerei proprio quel libro e gli direi: mi ha regalato questo libro, capisci? Un padre che regala alla figlia adolescente un libro di letteratura erotica e le spiega che per una donna avere dignità non significa mostrarsi una ‘santa’ ma significa saper amare sempre solo e soltanto quando è amore, anche se fosse per una notte soltanto. Un uomo che conosceva i diritti delle donne e che sognava un mondo dove potessero essere libere di amare, esattamente come gli uomini, perché, mi diceva, una notte di sesso, in un squallido posteggio, dove i due amanti sanno darsi il piacere del calore umano, quella notte contiene qualcosa che in un tempo non lontano sarà considerato l’opposto della guerra. E tu piccola mia, impara ad amare e spargilo nel mondo il più possibile il tuo amore e spiega a questi maschi che è meglio stare tra le braccia di una donna che le apre per poterle stringere di nuovo, che abbracciare un fucile. E poi quando sentirai di amare come non mai, abbi il coraggio di chiedergli di fermarsi con te, perché lui sarà l’uomo giusto, e tu lo saprai perché avrai imparato ad amare.  
Quanto si può piangere con questi ricordi? Quanto si può piangere nella consapevolezza che aveva ragione ma che non si è mai avuto il coraggio di essere così fino in fondo. Ma papà, se al mondo c’è la guerra non è colpa mia, non del tutto almeno. E l’ho anche scelto l’uomo giusto perché lo sento nelle viscere che lui è quello giusto, ma ti prego rispondimi, come può essere giusto a metà???
Piombai in un vuoto buio senza emozioni dal quale ne uscii il mattino dopo.  

Con Vera non potevo parlare, con mia mamma nemmeno. Capivo quanto ero sola.
Non so ancora adesso se è stata suggestione o cosa. Quella notte sognai mio padre. Stavamo Facendo una passeggiata nel bosco, come eravamo soliti fare. Io ero una bambina. Raccoglievamo legnetti secchi per accendere il fuoco nella vecchia stufa della casa della nonna. Quando ero piccola facevamo spesso passeggiate nel bosco. Ad un certo punto, nel sogno, attraverso il bosco ci venne in contro un’anziana signora. Sembrava che lui la conoscesse. Si salutarono poi questa si abbassò su di me e mi chiese:
Ti piace il bosco?
Io la guardavo con gli occhioni spalancati e annuii, poi continuò
Sai, è tanto grande e c’è pieno di vita, ci sono tantissimi animali anche se tu non li vedi  e sono molto diversi tra loro ma tutti vivono qui, nel bosco.
Mio padre salutò la vecchia e la ringraziò, poi mi prese in braccio e disse:
Ora dobbiamo tornare a casa.
Mi svegliai.
La prima cosa che feci, anche se con un certo orrore, fu di provare ad immaginare mio padre a letto  con un uomo. Distolsi subito quel pensiero, mi sembrava di arrecargli un’offesa brutale. Mi dava fastidio anche solo immaginarlo a letto con mia madre figuriamoci con un uomo. A pensarci bene di lui avevo un’idea…. quasi angelica, come se fosse asessuato, anche se ai miei occhi sembrava un vero uomo. A quell’epoca ovviamente non mi rendevo conto dell’esistenza della dimensione sessuale e non avevo un’idea chiara di cosa volesse dire essere un vero uomo, ma se non lo avevo mai immaginato a letto con una donna meno che mai avrei avuto la fantasia di immaginarlo con un uomo. Ero semplicemente impossibilitata ad immaginare mio padre a letto con un uomo. Ma oggi non è così e per quanto ne so avrebbe potuto anche provarci gusto. Lo deduco perché ancora oggi non riesco a immaginarlo fare l’ amore con nessuno, nemmeno con una donna quindi potrebbe essere possibile tutto.  Il fatto che  morì che ancora non ero adulta e che i ricordi più marcati, quelli più belli, sono di quando ero bimba, non mi dà una percezione della realtà completa sul suo conto, lo vedo e lo vedrò sempre come il mio meraviglioso papà attraverso gli occhi innocenti di una bambina. Se n’è andato proprio quando stavano per risvegliarsi in me le prime pulsioni erotiche e con quel libro credo che lui mi abbia voluto lasciare qualcosa su cui riflettere, come se lo sapesse che stava per lasciarmi. Capisco che anche lui avrà avuto la sua sessualità e le sue fantasie e forse avrebbe voluto parlarmi di più di questi argomenti ma non ha fatto in tempo.
Ad ogni modo sentivo il bisogno di immaginarlo a letto con un uomo, non so perché. Se il mio uomo, Alvise, poteva andare a letto con uomo, perché non avrebbe potuto esserci andato anche mio padre? Che idea avrei di mio padre se improvvisamente scoprissi che quando era vivo andava a letto con un uomo? Lo amerei di meno? Certo che no. Mio padre sarà sempre l’amore della mia vita. Il mio eroe. Mi farebbe male, ma tanto che ne potrei morire, venire a sapere che lontano da me avrebbe potuto fare del male a qualcuno. Questo sì, mi ucciderebbe. Se scoprissi che in vita avrebbe potuto amare un uomo, beh, ammetto che mi lascerebbe profondi interrogativi…. ma in fondo….
Amare un uomo.
Chissà se Alvise amava quell’uomo. Non ci avevo ancora pensato.
Non so nemmeno se a me farebbe qualche differenza.
Quel sogno comunque non mi dava pace. Come mai lo avevo fatto? Come mai avevo sognato mio padre? E la vecchia? Che relazione c’era tra lui, lei e il bosco? Ma soprattutto, che relazione c’era nella mia testa tra Alvise e mio padre?
Ma ancora più straordinario: come mai sentivo che esisteva una relazione tra quello che stavo vivendo e il sogno?

Il mattino dopo mi ero buttata fuori di casa per andare al lavoro. Non ero ancora rientrata, mi ero data per malata. Ad un incrocio mi tagliò la strada l’auto che stava nel vialetto di casa nostra il giorno che ho beccato Alvise in quella squallida performance. Era facile riconoscerla: era un modello vecchissimo di un grigio perla sbiadito. Il riflesso del sole sui vetri non mi permise di vedere chi la guidava. D’istinto decisi a corrergli dietro. Fanculo il lavoro. Chissà come mai davo per certo che fosse lui. Non riuscivo proprio ad immaginare che tipo di uomo fosse. Certo, lo avevo visto, ma solo per pochi secondi e sinceramente non me lo ricordavo nemmeno più. Ho sempre pensato che i gay fossero…. gay, sì insomma checche, effeminati, con quegli atteggiamenti classici e quel loro modo di parlare.  Ma quell’uomo stava inculando mio marito e per questo, d’istinto, non mi veniva di immaginarlo esattamente una checca. Io non avevo mai pensato a questi particolari ma a grandi linee credevo che quello che si fa inculare sia checca, almeno più di quell’altro….almeno nel modo di atteggiarsi. Cioè, ero convinta che a prenderlo nel culo fossero solo le checche effeminate ma Alvise è tutt’altro, sprigiona virilità in ogni istante. A pensarci bene anche questo aspetto mi destabilizzava. Ero proprio curiosa di vederlo bene. Dopo varie svolte si fermò improvvisamente e lasciò l’auto in seconda fila. Scese, andò davanti ad un portone e suonò un campanello. Non so nemmeno io se lo odiavo, se mi ripugnava o cosa, ma era veramente un bel tipo e ora ero sicura che fosse lui, lo avevo riconosciuto. Poco dopo  sbucò fuori un bimbetto con la cartella sulle spalle. Rimasi impietrita. Il tipo tirò su bimbetto e tutto e se lo baciò con grande affetto, poi lo fece salire in auto.
 Suo figlio?
Lo accompagnò a scuola e prima di lasciarlo al cancello gli fece un sacco di discorsi. Lo amava tantissimo, ne sono certa, l’ho visto, l’ho percepito, l’ho sentito.
Mi venne il dubbio che non fosse l’amante di  mio marito ma non poteva essere che lui. Pensai a suo figlio: sapessi cosa fa tuo padre…..
Dovevo parlargli, dovevo conoscerlo ma senza che sapesse che sapevo perché volevo vedere se anche lui aveva una doppia vita come Alvise, se era così, avrei potuto valutare la cosa da un punto di vista più oggettivo e non pensare a cose bruttissime su Alvise, come stavo facendo.. Chissà se lui mi avrebbe riconosciuta. Probabilmente no, anche lui mi aveva visto solo per pochi secondi e sicuramente con i lineamenti sconvolti comunque mi ripromisi di cambiare taglio dei capelli, ci avevo già pensato perché dopo il trauma ho  sentito il bisogno di cambiare qualcosa.
Gli andai dietro ancora, dovevo scoprire dove abitava o dove lavorava e poi mi sarei inventata qualcosa. Lo seguii fino fuori città, in una zona industriale. Avevo scoperto dove lavorava: lo vidi parlare con i suoi colleghi o forse con i suoi operai. Da quel che avevo capito poteva essere una specie di geometra o architetto. Pensai che poteva bastare. Andai subito dalla mia parrucchiera e passai la mattinata a prepararmi. Sarei tornata in quel luogo verso l’ora di pranzo e avrei improvvisato qualcosa.
Mi tirai a lucido. Avevo scelto un look elegante, sobrio e non troppo vistoso. Ben sapendo che gli   piacevano gli uomini molto probabilmente non gli piacevano le donne quindi pensai di presentarmi elegante ma semplice, come piace a me. Sì, avevo intenzione di sedurlo. Lo realizzai mentre mi preparavo. Pensai tanto su che tipo di donna potesse attrarlo, ammesso che potesse essere anche attratto da una donna ma il mio istinto mi suggeriva di sì, lo vedevo da come camminava. Era maschio.
Il mio nuovo taglio di capelli mi piaceva e scelsi con cura le scarpe.
Poco prima dell’ora di pranzo ero sotto il suo ufficio. La sua auto era ancora là al solito posto del mattino.
Non avevo la minima idea di cosa avrei fatto. Aspettai ancora un’ora almeno…ero decisa a stare lì fino a sera se fosse stato  necessario. Intanto mi arrivavano messaggi da Alvise e mia mamma mi aveva già chiamata due volte. Risposi solo a lei per evitare di metterla in ansia.
Alvise era il motivo per il quale stavo facendo tutto quello  e credevo che avrei scoperto molto sul suo conto attraverso quell’uomo, anzi, ne ero sicura, dovevo solo entrare nel suo letto.
Poco dopo finalmente arrivò. Solo e senza guardarsi intorno salì in auto e uscì dal parcheggio.
Io che non avevo un piano preciso stavo rischiando di perdere l’occasione e allora pazza e istintiva come sono, appena uscì dal suo posto feci la stessa cosa anch’io e siccome le nostre auto erano muso a muso lo urtai deliberatamente fingendo di non averlo visto.
Crash.
Lui uscì subito e iniziò ad insultarmi.
Io aspettai un attimo in più prima di scendere e lo feci con calma. Appena mi vide in piedi davanti a lui credo che qualcosa sia cambiato nel suo sguardo. Rimase comunque molto irritato ancora per qualche attimo.
“Scusami davvero, proprio non ti ho visto. Ora ci scambiamo i dati e farò la denuncia. In fondo guarda, è solo un fanalino.”
“Della macchina non mi interessa niente, devo andare a prendere mio figlio a scuola e non posso perdere tempo. Lasciami il tuo numero che ti chiamo più tardi se decido di rimetterla a posto.”
Avevo fatto cilecca. Ovviamente dell’auto non gliene importava nulla ma del figlio certamente sì.
Gli diedi il mio numero e aggiunsi
“Spero di non averti mandato all’aria i tuoi impegni. Se decidi di non aggiustarla chiamami lo stesso, come minimo ti offro un caffè.”
Mi stupii io stessa della mia audacia e prontezza di riflessi. Lui era già li che sgommava e dal finestrino mi schiacciò l’occhio.



La mia vita si era fermata all’improvviso…
Ecco, non lo avevo ancora focalizzato bene. Decisi di dare importanza a questa rivelazione.
Pretesi da me stessa di riuscire ad accettarlo. Altrimenti a cosa erano serviti tutti quei libri sull’autostima, sull’amore incondizionato e sul fatto che se ti succede qualcosa o è responsabilità tua o comunque ti sta succedendo perché devi imparare qualcosa.
Da un giorno all’altro mi ritrovavo a vivere con mia mamma e l’uomo che amavo, di cui mi ero presa cura negli ultimi anni e di cui credevo di conoscere ogni minima emozione, improvvisamente era lontano anni luce.
Anche il lavoro non mi interessava più. Qualcuno aveva il telecomando e aveva pigiato lo stop, o bene che stava andando, la pausa.
Alla sera di quella giornata, chiusa nella mia vecchia cameretta, diritto conquistato dopo innumerevoli spiegazioni a mia madre, tiravo le fila e mi facevo schifo di aver pensato di poter andare a letto con quell’uomo.
Ma cosa volevo ottenere? Forse volevo solo vendicarmi. O forse volevo pareggiare i conti: se ci vado anch’io a letto con quello e se magari mi faccio inculare anch’io, siamo pari e si può ricominciare tutto daccapo.
No.
Le cose non stavano così. Non si poteva ricominciare daccapo. La strada era un’altra, lo intuivo, ma ancora non lo capivo.
Non desideravo ricominciare tutto daccapo. Ma non riuscivo a frenare questo mio bisogno di andarci fino in fondo. L’unica cosa di cui ero sicura era che dovevo per forza capire. Dovevo capire come poteva essere che un uomo come Alvise, lasciamo stare che era mio marito, dico un uomo come lui, potesse vivere un’esperienza simile e con quel gusto. Io lo dovevo capire. Iniziavo a sospettare che mancava a me qualche informazione, se scartavo l’idea che mi ero fatta sulla possibilità che fosse malato. Se davvero credevo che potesse essere malato, come mai mi ci stavo rompendo la testa?
Comunque una vocina mi diceva che quel tipo dovevo assolutamente conoscerlo. Poi magari, al momento, avrei potuto vedere come far evolvere le cose, ammesso sempre che a lui potessi interessargli, visto che ero una donna.
Alvise continuava a cercarmi e a scrivermi messaggi e io mi limitavo, di tanto in tanto, a rispondergli che non ero ancora pronta per vederlo, che non gli promettevo niente e che prima di poter parlare un’altra volta dovevo assolutamente riprendermi. Per un po’ lui se ne stava buono poi ricominciava a cercarmi e a dirmi quanto mi amasse.
A volte desideravo che con lui ci fosse stata un’altra donna, non so, in quei momenti credevo che potesse essere tutto più semplice. Sicuramente più doloroso, ma più semplice. Io non mi sentivo tradita, mi sentivo ingannata. Ingannata da un uomo che aveva avuto la forza di farmi sentire al sicuro con lui, come era riuscito a fare mio padre. E poi è come se improvvisamente avessi scoperto che questa forza non ce l’aveva. Quel senso di protezione che era riuscito a darmi mio padre, l’avevo  ritrovato in lui e quello che ho visto quel giorno l’ha annientato in un colpo solo.
E ora mi sentivo sola e vulnerabile.
Se di buono c’era qualcosa era proprio questo mio modo di analizzare me stessa.
Passarono due giorni e mi arrivò questo messaggio:
‘ciao, sono renzo, il tipo  della macchina che hai speronato, ho pensato che almeno il fanalino dovrei cambiarlo, ci vogliono ben 80 € non so se ti conviene fare la denuncia. A me va bene anche se me li dai in due o tre volte. Fammi sapere J grazie ciao’
 Lo rilessi una decina di volte. Chissà cosa mi aspettavo. Forse che mi avrebbe telefonato per invitarmi a cena. Che stupida. Stupida tre volte, primo perché l’ho cercato io, secondo perché non so nemmeno io cosa stavo facendo e terzo perché non sapevo nemmeno sedurre un uomo. Sì che magari ‘sto qui era una checca irreversibile.
Sai cosa c’è di buono Masha? Che almeno ti ha mandato un messaggio, pensa se non si fosse mai più fatto vivo.
Prima di rispondere dovetti riflettere un bel po’.
Innanzi tutto, Masha, cosa vuoi ottenere?
Bella domanda. Non lo sapevo nemmeno io. Lo ammetto, una parte di me voleva andarci a letto. Era davvero un bel ragazzo ma forse era una specie di ripicca o qualcosa di simile. Una perversione, una vendetta….. o chi lo sa. Certo, se fosse stato ripugnante non mi sarebbe neanche venuto in mente.
Ma forse in realtà volevo veramente scoprire qualcosa di molto intimo di Alvise. C’era sempre quella vocina che mi diceva che questo Renzo avrebbe potuto essere un buon mezzo per capire mio marito. In fondo era stata la fortuna a farmi rivedere la sua auto.
Infine decisi di stare al gioco, di non aspettarmi niente e visto che lui stesso mi stava offrendo la possibilità di pagare in più volte, avrei fatto proprio così, avrei ripagato il fanalino in questo modo così lo avrei incontrato almeno tre volte.
Con Alvise non ci volevo parlare. Almeno non subito. Non mi fidavo di lui. Per quanto ne sapevo poteva raccontarmi quello che voleva. Avevo paura. Avevo paura perché lo amavo tantissimo e temevo che gli sarei caduta tra le braccia  prima ancora di aver compreso e accettato tutto quanto, ammesso che ci sarei riuscita e ammesso che avessi scelto che ciò che avevo compreso comunque avrebbe potuto portare ad un nuovo inizio.
L’unica cosa che potevo fare era davvero parlare con questo Renzo.
Il giorno dopo gli risposi
‘ciao sei molto gentile. ti ringrazio tanto per la disponibilità. preferisco darti i soldi che fare la denuncia. se vuoi posso già darti 30€ e il resto forse tutto il prx mese. come faccio a darteli? Masha’
Prima di inviarlo lo rilessi più volte. Ero indecisa se firmarmi o meno. Non sapevo bene. Avevo paura che non essendo necessario potesse pensare male. Avevo paura di assumere un tono troppo confidenziale. Forse avrei dovuto dargli del ‘lei’. Ma scrivergli il mio nome mi sembrava troppo importante per i miei disegni.
Chissà come la poteva prendere Alvise se avesse saputo che mi stavo massaggiando con colui dal quale si faceva inculare. Forse non sembra ma in quel periodo soffrivo tantissimo. Ad ogni modo, questa storia, per chi ha un buon senso dell’umorismo, stava prendendo anche una piega tremendamente ironica.
Renzo mi rispose subito dopo
‘ok perfetto masha, per renderti le cose più semplici potresti lasciarmi una busta alla segretaria dell’ufficio dove lavoro, è proprio davanti a dove mi hai speronato J al numero 76, basta che ci scrivi sopra renzo. io sono spesso in giro e la recupero quando rientro, ok?’
Merda.
Questo non l’avevo calcolato. Cazzo vaffanculo. Ma cos’ha paura che me lo mangio? È proprio un finocchio di merda! Ma gli faccio così schifo?
Sgrunt
……………..
Calma……
E ora? (mumble mumble)
E va bene! Vuoi la guerra? Eccotela
‘scusami ma sai in quella zona dovrei venirci apposta, non è che si può fare in un altro modo? non so magari anche tu abiti in città e ci possiamo vedere dopo il lavoro o nella pausa pranzo. mi faresti un gran favore perché abito proprio dalla parte opposta’
Ecco. Limpido e senza tanti fronzoli. Ma tanto non serve a niente, se è stronzo è stronzo e basta.
Ma lui mi rispose ancora una volta immediatamente
‘ah caspita perdonami, non so perché ma ero convinto che anche tu lavoravi in zona, mi sembra di averti già vista ma non saprei dirti dove. Allora potremmo vederci al bar all’angolo tra via Cayce e via Rol domani sera verso le sette, ok?’
O merda. Allora mi ha riconosciuta. Cazzo cazzo cazzo .
Se mi ha riconosciuta ci faccio una figura di merda imperiale.
E ora cosa faccio?
Niente cosa ci vuoi fare Masha? Ormai ci devi andare. A sto punto non mi stupirei se domani alle sette si presentasse anche Alvise. Sarebbe veramente fantastico.
  


Il mondo gira sempre da una parte sola, sempre nel solito senso e i maschi  vogliono portarsi a letto le donne. È fatto così il mondo. Allora perché esistono maschi che vogliono portarsi a letto le donne e nello stesso tempo, gli stessi maschi, si inculano i mariti delle donne che vogliono portarsi a letto?
??????????
“Sei sposata?”
“Mah, diciamo che lo ero fino alla settimana scorsa, ora non lo so più nemmeno io.”
“Cosa fai stasera?”
“Cos’è un invito?”
“Non lo so…. e se lo fosse?”
“Certo che sei un bel tipo, ci provi subito alla prima rata? Guarda che a seconda di come vanno le cose potresti perdere le altre.”
“Che importa. L’importante è che se usciamo guido io.”
“Cretino…. E tu? Sei sposato?”
“Eh, lo sono stato….”
“E poi’ che è successo?”
“Mi ha lasciato, ecco cos’è successo.”
“Mi dispiace. Vedo che ancora ti fa un po’ male. Ti ha lasciato per un altro uomo?”
“No, l’ho tradita.... Non ne ha voluto più sapere. Masha, ho un figlio.”
“Ma dai? Sono contenta per te, dev’essere meraviglioso essere genitore. Io ancora non ne ho ma è da un po’ che ci penso. E poi è finita anche con quell’altra donna?”
“Ma quante domande che fai. Ora sono single, ti basta?”
“Hahaha certo che mi basta.”
“Ma che strano, mi sembra di conoscerti già, forse abbiamo frequentato gli stessi posti. Ma anche te sembra di esserci già visti?”
“Sì forse. Ma sai la città non è poi così grande, chissà, magari andavamo nella stessa scuola o nella stessa discoteca, chissà...”
“Bé, allora? Non mi hai ancora detto cosa fai stasera?”
“Andrò a casa.”
“A casa? E che ci vai a fare? Potremmo cenare insieme e poi fare una passeggiata lungo il fiume, che ne dici?”
“Mmmm, non lo so, mi sembri un tipo un po’ pericoloso.”
“Pericoloso io? Ma dai.”
“Ma non in quel senso, nel senso che mi sembri un po’ birichino.”
“Mmm. E se fosse? La vita è fatta per essere vissuta. La natura compie sempre i suoi disegni.”
“Ahhh, sei anche filosofo. Ok, va bene, devo solo avvisare mia mamma.”
“Andiamo, conosco un bel posticino qui vicino.”

Non bevete vino se siete depresse, se siete confuse, se siete sconvolte e soprattutto se siete a cena con un tipo molto interessante che si scopa vostro marito.
“Scusa, posso farti una domanda?”
“Certo.”
“Non capisco una cosa: com’è che subito mi hai proposto di lasciarti una busta in ufficio e poi invece, dopo che ci siamo visti, perché sono stata io a chiedertelo, mi hai invitato a cena?”
“Hehe. Volevo vedere come reagivi. Quando sei uscita dalla macchina mi hai folgorato. Non potevo rischiare di farmi vedere che ci provavo subito. Io davvero ero convinto che lavoravi lì vicino, in qualche modo ti avrei chiesto dove e sarei venuto a trovarti. In fondo avevo il tuo numero.”
“Ma guarda che tipo! Ma sarai qualcosa...cioè, aspetta, fammi capire, tu appena mi hai vista avevi già pensato di corteggiarmi?”
“Hahaha, sì lo ammetto.”

E questo fu più o meno il tono del nostro incontro: divertente, intrigante, stimolante.
Sarà stato il vino ma me lo mangiavo con gli occhi. Pensavo ad Alvise e a quanto era stato bravo a riuscire ad andare aletto con un ragazzo come Renzo. Io non ci ero mai riuscita. Alvise è un bell’uomo ma non è come Renzo. Quel ragazzo mi guardava in un modo...omioddio.
Brillante, intelligente, sensibile, innamorato di suo figlio.
Il mondo mi si stava capovolgendo addosso. Anzi mi sentivo una matrioska perché c’erano un sacco di me stesse, una dentro l’altra e a tavola con Renzo avevo iniziato ad aprire la prima.
Mi portò a casa sua. Non sapevo spiegarmi come ad un ragazzo così potessero piacergli anche gli uomini ma non me ne importava più niente.
La sua casa era la classica casa del single divorziato, non so esattamente cosa vuol dire questo ma  mi dava proprio quella sensazione. Aveva una cameretta per Nicolò, suo figlio. Il resto della casa era semplice e profumato e dava l’impressione di essere per lui una casa provvisoria.
Appena entrati mise subito un po’ di soul in sottofondo, accese qualche candelina e mi versò il mirto che fa sua mamma. Mi sedetti sul divano e mi tolsi le scarpe. Ero già tragicamente a mio agio.
Mi parlò di lui quando era bambino e di come gli assomigliava Nicolò. A me non fece molte domande, forse aveva intuito che non ne desideravo. Era calmo e sicuro di sé e mi faceva capire quanto gli piacessi. Sembrava che quasi quasi non gli importasse di portarmi a letto subito, anche lui amava aspettare. Io dal mio canto, ero eccitatissima e mi godevo l’attesa anche se fremevo.
Poi si avvicinò per versarmi dell’altro mirto ma invece mi rubò il bicchiere e mi baciò.
Ovviamente lo lasciai fare. Prima di Alvise avevo avuto molte storielle ma erano anni che baciavo solo lui. Non so spiegare che emozione provai nel contatto con una bocca nuova, meravigliosa, calda. In quei momenti non so proprio dire che effetto mi faceva la consapevolezza del fatto che era bisex. Come minimo capivo Alvise se, anche essendo uomo, aveva potuto godersi un bacio così.
Non fu esattamente il suo fisico a buttarmi al tappeto, ma come lo muoveva e come lo muoveva su di me. Renzo in fondo era un ragazzo normale ma i suoi occhi cercavano il piacere e le sue mani sembrava che lo trovassero. Poco dopo eravamo nudi e quando il suo orgasmo riempì la mia bocca mi sentii sporca e appagata al solito tempo.

Trascorse una settima nella quale ci vedemmo tutti i giorni. Non ci capivo più niente. Mi sentivo anche un po’ in colpa, non so bene il motivo, forse perché stavo scopando con un uomo pur essendo sposata, forse perché avevo iniziato un gioco che poteva essere perverso, forse perché avevo rubato l’amante di mio marito o forse perché mi stavo innamorando anche di lui.
Alvise continuava a cercarmi. Non l’avevo più visto.
Era arrivato il momento di alzare il sipario. Con Renzo.
Ma poi mi dissi che se volevo essere onesta fino in fondo, dovevo farlo prima con Alvise.
Non so spiegarlo bene ma me lo ripetevo nella testa come se fosse mio padre a dirmelo. E in fatti feci proprio così. Gli piombai in casa. Non se l’aspettava. Quasi non gli rispondevo nemmeno ai messaggi. Ma lui cosa ne poteva sapere di quello che stavo vivendo dentro. Era visibilmente agitato e preoccupato, chissà cosa pensava che fossi venuta a fare. Forse a lasciarlo definitivamente.
Invece non sapevo nemmeno io che cosa sarebbe successo. Dovevo solo dirglielo.
“Ho conosciuto Renzo”
Silenzio
“R..Renzo?”
“Sì, Renzo.”
“Ah....... E.... come hai fatto a conoscerlo?”
“Che importa?”
“Già che importa.....e.....quindi?”
“Scopo con lui da una settimana.”
“Cosaaaaaa????....Non è vero, sei una stronza, mi vuoi solo far soffrire”
“Abbiamo saltato solo lunedì perché stava con Nicolò.”
A quel punto si sedette.
“Non è possibile, siamo ai confini con la realtà”
Mi guardò a lungo poi continuò
“Ma che cosa hai in mente?”
“Niente, te lo giuro Alvise, assolutamente niente. Volevo solo conoscerlo ma poi credo di essermi innamorata.”
“?”
“Sì. E sai una cosa? Io non so da uomo se tu puoi provare le stesse cose, ma.... in fondo ti capisco, è una persona in gamba.”
“Non ci posso credere.....ma....lui.....sa chi sei?”
“Non ancora.”
“E ovviamente pensi di dirglielo.”
“Certo. Perché? Cosa dobbiamo continuare, questo teatrino?”
“Masha, mi dispiace.”
“Forse non hai capito: credo di esserci passata dentro a tutta questa storia, voglio dire... non so se mi capirai ma credo e spero di sì: vedi, all’inizio è stata dura e lo è stato fino a quando non l’ho conosciuto. Poi non so, deve essere successo qualcosa del tipo che innamorandomi di lui, ho conosciuto un po’ di più te. Attraverso di lui mi sembra di aver capito cose su di te che non conoscevo....molte altre le ho collegate, ho chiuso dei cerchi, non so se mi sto spiegando bene, ho imparato qualcosa. L’unica tristezza che ho è che non sei stato tu a dirmelo, a farti conoscere, ma lo sai? Forse non sarei stata pronta: se ho capito qualcosa è proprio grazie a come sono andate le cose.”
“E che cosa avresti capito Masha?”
“Che l’amore non ha confini, non ha ruoli, non ha sesso. È amore e basta. Tu ami quell’uomo, lo so, me lo ricordo bene, l’ho visto nel tuo volto quando vi ho beccati e lo sai come faccio a saperlo? Perché quando sono con lui mi sembra che la mia faccia sia come la tua. Ci ho pensato tanto: quando Renzo mi fa godere mi sembra di avere la tua faccia, la tua espressione di quella sera. E vi amo tutt’e due in quel momento, tanto, anche perché anche voi due vi amate....cerca di capirlo perché non so se riuscirò a spiegarlo di nuovo.”
“Sì forse capisco. E’ bello quello che dici..... ma ora....che facciamo?”
“Chiamalo e invitalo a cena.”






























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