BELLA

 




BELLA


Vagavo nella notte per la città sulla mia Y10 sfinita e sentivo una gran voglia di esagerare. Notai che il mio stato d’animo era assurdo, guidavo calmo e pensieroso girando a caso negli incroci ma dentro mi sentivo agitato, cattivo, pericoloso, diverso, perduto e con voglie di una tale bassezza che una mente come la mia teoricamente dovrebbe impegnarsi a immaginarle e invece venivano su spontanee come se fossero state sempre lì, e forse era proprio così.

Non ero affatto turbato da questa estensione distruttiva, la percepivo come un’onda di energia ma sapevo bene che poteva condurmi in qualche casino. Improvvisamente i fari di un’auto, che marciava in senso opposto, illuminarono un filare di alberi che costeggiava la strada. Non so come ho fatto a scorgere quella figura. Mi girai di scatto e la luce stava ancora illuminando una minigonna rossa. Era talmente corta che sembrava prendesse per il culo. Sotto, due magnifiche gambe si infilavano in un paio di volgarissimi stivali scuri. Un pellicciotto bianco, corto in vita, copriva il resto, tranne una testa di capelli biondi, lunghi e lisci. Era una puttana. Anche se la luce l'aveva illuminata solo per un attimo, l'avevo vista bene, era un gran pezzo di figa. Al primo incrocio feci inversione e mi precipitai verso di lei, sperando che non la caricasse nessuno. Quant'era che non andavo a puttane, avevo smesso, avevo smesso da un po' con quelle stronzate. Mi era capitato spesso in passato, quando vagavo per la notte ubriaco, di caricare una di quelle ragazze.
Le sceglievo tra le più belle, perché se dovevo pagare doveva essere davvero bella. Mi son sempre chiesto chi cazzo poteva andare con quelle brutte, perché ce n'erano di cessi sui marciapiedi.

Le auto davanti a me rallentavano tutte per ammirare quella ragazza ma nessuna, fortunatamente, si fermò. Le inchiodai davanti e abbassai il finestrino. Rimasi li a fissarla, era bellissima, ma era giovanissima, troppo giovane per essere lì, troppo giovane per desiderarla. Masticava un chewgum e mi esplose una gran bolla dentro l'auto. Mi chiesi come mai tutte le puttane del mondo masticano la gomma, forse le regalano con qualche marca di preservativi, chi lo sa, magari con quelli alla frutta. Ero ancora li a guardarla e nei suoi lineamenti scorsi qualcosa di familiare, avevo la sensazione di averla già vista.
“Come ti chiami?”
“Mi chiamo Bella, sono trenta, andiamo?” Disse impaziente. Occhi da bimba, anche se truccati non ingannavano, corpo magnifico, bianca come il latte. Dal pellicciotto si intravedevano le sue tettine strette strette in un “push up”, una di quelle diavolerie che strizzano quel poco di seno cercando di farlo diventare più grande. Ma non funzionava molto con lei, era ridicola. Si accorse che guardavo lì ma non capì che non ne ero affatto attratto. Abbassò un poco la cerniera del pellicciotto e mise in mostra quella miseria.
“Copriti per piacere!”
Non si aspettava che reagissi così, mi osservò un attimo. Non conosceva neanche la magia di uno sguardo di seduzione e il suo contrario. Qualcuno deve averla istruita. Per lei essere guardata da un uomo doveva avere un valore solo e non poteva essere altro che così, perché non capì che io invece ne fui quasi inorridito. Stavo quasi per andarmene quando dallo specchietto vidi un'auto che si fermò dietro la mia. L'avrebbero caricata sicuramente. Improvvisamente mi si strinse il cuore. Ma come era possibile, era solo una bambina. Riguardai lo specchietto.
“Allora? Andiamo?” disse.
“Sali”
Non so cosa mi prese ma improvvisamente un istinto mi obbligò a portarla via di là. Seduta nella mia auto mi sembrò ancora più una bimba. Cominciai a provare paura, stavo rischiando grosso.
La piccola mi indicò un percorso verso un luogo nascosto. Era pratica e mi dirigeva con una sicurezza che mi turbò non poco. Non avevo la minima idea di che cosa avrei fatto, ero frastornato e confuso. Destra, sinistra, passammo in mezzo a dei campi poi un ponticello, una vecchia casupola.
“Ecco, fermati là, sotto quell'albero.”
Obbedii, spensi il motore. Frugò dentro la sua borsetta e ne tirò fuori un preservativo e un pacchetto di fazzolettini di carta. Armeggiò con la leva e abbassò il sedile. Ero profondamente avvilito, così giovane e così esperta.
“Che fai non ti spogli?” Mi chiese
“Quanti anni hai?”
“Ho 18 anni” rispose seccata.
“Non è vero, non mi prendere per il culo!”
“Ma che cazzo vuoi, vuoi scopare o no?”
Le strappai la borsetta dalle mani.
“Fammi vedere un documento.” Urlai.
Fece resistenza ma vinsi io.
“Ridammela stronzo! Ma cosa sei un poliziotto?”
Mi si rovesciò tutto sulle gambe, tentò di riprendersi tutto ma agguantai il portafogli. Lo tenevo stretto mentre urlava. Le afferrai le mani e la obbligai a stare ferma. Si mise a piangere. Con una mano la tenevo schiacciata contro il sedile e con l'altra lo aprii. Non è stato facile, la piccola si dimenava ancora. Non trovai altro che dei contanti ma mi venne in mano una fotografia. Era una donna. La osservai.
“Hey, ma questa io la conosco.”
“E' mia mamma, ridammela.”
Sua madre? Ebbi un capogiro, Mavie era sua madre? L'avevo incontrata tanti anni fa. Era bellissima, mi ero innamorato perdutamente di lei. Avevo tentato di aiutarla perché si drogava. Come soffrii in quel periodo. Quanta bellezza sprecata, ricordo che pensavo. Poi un giorno scappò e non la rividi mai più. Lasciò una ferita che forse non mi si è mai rimarginata, anche perché sapevo che non poteva essere al sicuro lontano da me. Provai a cercarla ma non aveva lasciato nessuna traccia. Alla fine mi rassegnai. Quindici anni fa. Un terribile sospetto irruppe nella mia testa ma in quel preciso momento un'auto frenò bruscamente sulla stradina sterrata dietro di noi. Bella scese e non so come ha fatto ma riconobbe qualcuno.
Urlò qualcosa al tipo che veniva verso di noi. Il tale le diede un gran pugno e la piccola cadde a terra. Non avrebbe dovuto toccarla, qualcosa si impadronì di me, ma non capivo ancora, ero solo accecato dall'odio. Quella ragazzetta era davvero figlia di Mavie? Non ne ero ancora sicuro ma in ogni caso quel pezzo di merda non avrebbe dovuto toccarla.
“Sali in macchina troia” disse con un accento straniero.
Venne verso di me, era una montagna, deciso e cattivo. Ma non sapeva ancora che io ero sicuro che di lì a poco mi sarei portato via la bimba. Ne ero talmente convinto che non provai nessuna paura. Ero più deciso e più cattivo di lui e avevo una gran voglia di fargli del male. Ero pronto. Mi sferrò un gran colpo ma anni di strada e di lotte talvolta inutili mi avevano insegnato a difendermi. Mi colpì di striscio, il pugno era fortissimo ma non mi ferì, riuscì tuttavia a farmi perdere l'equilibrio e caddi a terra. Era un sacco di merda perchè cadde anche lui. Aveva calibrato il peso nella sicurezza di centrarmi senza minimamente calcolare che potevo tentarre di evitarlo. Infatti è quello che feci e l'idiota perse l'equilibrio. Atterrò al mio fianco e nel momento stesso che si girò verso di me mi voltai e con tutta la mia forza gli sferrai una potentissima gomitata in pieno volto. Lo centrai e gli fracassai il naso. Il rumore delle sue ossa che si frantumavamo aumentarono la mia selvaggia sete di sangue. Il suo volto ne era gia tutto coperto e i suoi lineamenti erano già orrendamente deformati. Perse qusi i sensi e io ne aproffittai. Mi alzai in piedi e lo presi a calci, ovunque e con una cattiveria inaudita. Avrei potuto ucciderlo ma mi giunse all'orecchio il pianto della piccola e preso da uno sconosciuto istinto lo lasciai lì a terra, forse ancora vivo. Andai da lei, la presi in braccio e la caricai sulla mia auto. Non so come ma trovai il modo di uscire da quella campagna e mi diressi verso la prima stazione di polizia. Entrai dalla porta con la bimba in braccio. Mi stringeva forte, era terrorizzata. Non mi aspettavo tanta umanità dagli agenti e invece ci accolsero subito come dei profughi.

La piccola venne trasferita subito in ospedale. Mi fecero sedere, mi diedero qualcosa da bere e mi ascoltarono. Non mi venne in mente che potevo rischiare una denuncia perché la prostituta era minorenne. Raccontai tutto quello che era accaduto e feci vedere loro la fotografia della madre. Mi guardarono increduli e quando dissi loro che avevo l'assurda sensazione che Bella poteva essere mia figlia, mi fecero iniziare a raccontare tutto da capo, perché la storia aveva dell'incredibile. Mi ascoltarono fino in fondo e forse riuscii a convincerli. Mi accompagnarono a casa e mi ordinarono di rimanere a disposizione, sarebbe partita un'indagine. Non sapevano ancora che non avevo nessuna intenzione di allontanarmi, anzi. Dal giorno dopo iniziò un calvario assurdo. Volevo vederla ma non mi era concesso. Mi rivolsi ad un amico avvocato che mi aveva tirato fuori da qualche guaio in passato. Mi accorsi che prese il caso a cuore perché non mi aveva mai visto in uno stato simile. Riuscì a combinare un incontro con i servizi sociali che nel frattempo si stavano occupando della bimba. Venni a sapere che Mavie era morta per overdose due anni prima. Fu un duro colpo. Chiedemmo l'esame del DNA, non fu facile ma alla fine ci riuscimmo. Quel giorno non lo dimenticherò mai. Speravo con tutto me stesso che l'esito confermasse la mia paternità. Sapevo bene che se fosse stato così la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Ma sapevo che sarebbe cambiata anche per la bimba. Dentro di me sentivo che io ero suo padre, non so perché, lo sapevo e basta. Era uguale a me e bella come sua madre. Bella, Mavie non poteva dargli nome più giusto. Aprii la busta, subito non ci capii un cazzo, mi aiutò un medico.
Era mia figlia. Bella era mia figlia.
Mi misi a piangere come un bambino. Come potevo amarla se non l'avevo mai vista, l'avevo solo raccattata da un marciapiede in una notte incredibile. Eppure fors' anche per l'amore che provavo per sua madre la sentii subito mia. Avevo una gran voglia di stringerla.
Oh Mavie come hai potuto farmi questo, ma chissà che forse non sia stato merito tuo, ovunque ti trovi ora, a farci incontrare.
Riuscimmo ad organizzare un incontro nell'istituto che la ospitava. Fu dura riuscire a convincerla che io ero suo padre. L'assistente sociale fu bravissima. Per la piccola i traumi sembravano non finissero mai. Ma questo non era un trauma, lei non sapeva ancora che da quel momento nella sua vita arrivò la luce. Il mio avvocato chiese l'affidamento ma non era così semplice, ero suo padre d'accordo, ma la situazione era delicatissima. Pensavo che potevo portarla via così e tanti saluti a tutti. E invece no, furono bravi anche con me a spiegarmi e soprattutto a convincermi che non era così semplice. Si trattava di fare un piano di reintegro e la mia collaborazione, mi spiegarono, era fondamentale. Mi fecero un sacco di domande e vollero capire bene le mie intenzioni. 
Lo dissi in mille modi che non volevo altro che prendermi cura di lei. A me non lo dissero ma credo che mi tenessero d'occhio. Fu un duro lavoro. Inizialmente ci si incontrava una volta alla settimana e sempre con la presenza dell'assistente sociale. Io arrivavo ogni volta con dei fiori, vestito bene e la barba fatta. Dovevo conquistarla gradatamente, mi dissero. Facevamo progressi e mi si complimentarono per la mia pazienza. Ma la mia non era pazienza, era amore e nessuno saprà mai per quanto tempo sarei riuscito a sopportare quella situazione. Io lo volevo fare e basta. Poi gli appuntamenti settimanali divennero due, poi tre, poi una pizza, poi il cinema. Ci divertivamo insieme e finalmente arrivò il giorno che ci fecero uscire da soli. La portai in un magnifico ristorante e dopo lei mi chiese di accompagnarla a un concerto. Avevamo gli stessi gusti, ci piaceva il rock e fu fantastico scoprilo insieme. Le promisi che le avrei fatto sentire tutti i miei dischi. Al nostro ritorno dovevo fare rapporto e la psicologa prendeva appunti e tutte le volte mi diceva che andava bene e che potevamo avanzare con il piano. Arrivò dunque il momento di portarla a casa mia e le preparai una cenetta deliziosa. Sotto al piatto le feci trovare l'ultimo disco dei KORN. Lo scartò con impazienza e mi chiese di ascoltarlo insieme. Misi il volume a manetta e pogammo uno davanti all'altra incuranti dei vicini, ci divertimmo un mondo. Quella sera le chiesi se aveva voglia di dormire da me qualche volta. Non le sembrava vero, una notte fuori da quell'istituto. Il giorno dopo lo dissi alla psicologa e le dissi che Bella ne sarebbe stata felice. Organizzammo anche questa e non saprò mai spiegare l'emozione che provai ne preparale il letto. Quella notte io dormii sul divano. Al mattino mi alzai presto e le preparai la colazione. Era una creatura dolcissima e ne ero fiero. Strordinario fu il fatto che imparai un sacco di cose da lei e non l'avrei mai detto. Poi arrivò anche il primo giorno di scuola. L'aveva interrota da quando era morta la madre. Mi stupii di vedere come era brava e come le piacesse studiare. In poco tempo recuperò gl anni perduti e a pieni voti. Questa cosa non so da chi l'avesse presa ma ovviamente ne ero molto contento. Dovevo aiutarla anche con i compiti ma era lei che mi insegnava tutte le cose che apprendeva. Ormai le notti che passava da me erano sempre più frequenti e finalmente arrivò il giorno che lasciò definitivamente l'istituto. Era passato poco più di un anno da quella notte e gli assistenti sociale ci dissero che era un gran risultato e mi dissero anche che era merito mio. Ma io non mi sentivo bravo, per me è stata la cosa più naturale del mondo. Il piano comunque continuava e un giorno alla settimana la psicologa voleva vederci e ogni volta le facevamo vedere quanto stavamo bene insieme. Lentamente anche quegli incontri diminuivano e la nostra vita iniziò sempre più ad essere normale.

Poi arrivò un giorno terribile, mi presentò un ragazzo. Mi sconvolse non poco la cosa, scioccamente non l'avevo messo in conto.
Corsi subito dalla psicologa a raccontarglielo e quella mi spiegò che era normale, anzi era ancora un bel passo in avanti. Significava che aveva sorpassato molto dei suoi trascorsi e che aveva miracolosamente ritrovato la fiducia negli uomini. Ancora una volta mi dissero che avevo fatto un ottimo lavoro. Io lo capii ma ne ero comunque gelosissimo. Mi consigliarono solo di cercare di conoscerlo meglio e comunque di tenerli d'occhio.
Era un bravo ragazzo e lei ne era innamoratissima. Suonava la chitarra e aveva una sua band.
Le cose andarono sempre meglio. Passarono molti anni nei quali io mi feci in quattro per darle la possibilità di studiare e lei mi diede solo soddisfazioni. Finì gli studi e si laureò.
Un bel giorno mi piombò in casa con il suo ragazzo, mi fecero sedere sul divano. Io addrizzai le antenne. I ragazzi erano seri e non nascondo che mi sono preoccupato molto. Bella tirò fuori un pacchettino minuscolo e me lo porse.
"Un regalo per te" Mi disse
Io non capivo. Lo apersi e dentro trovai un paio di scarpettine da neonato. Guardai Bella senza il coraggio di ammettere che avevo capito.
"Gliele metterai tu e lo aiuterai fare i primi passettini, non hai potuto farlo con me ma desidero tantissimo che lo farai con lui."
Mi ci volle un po' per riprendermi da un'emozione devastante.
Fu in quel momento che realizzai fino in fondo cosa avevo fatto per lei. Mi rivenne in mente quella notte e capii davvero che Mavie ci aveva sempre aiutato perché non crederò mai di esserci riuscito da solo.
Davide Ragozzini

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